Tutti gli articoli di Economia e lavoro
PHOTO
Tutto va bene, madama la marchesa. Quando si parla di Lsu e Lpu, la Regione ostenta sicurezza e spande serenità a piene mani. Ecco perché il verbale del tavolo tecnico sulla questione, che si è riunito ieri alla Cittadella, è estremamente rassicurante. In sintesi, nel documento si dice che la Regione si impegnerà a cercare tutte le possibili soluzioni per i lavoratori ai quali non sono stati prorogati i contratti a tempo determinato per il 2018, sollecitando il ministero affinché rimpingui le coperture finanziarie.
La punta dell'iceberg
Niente di nuovo, verrebbe da dire. Invece, già il fatto che la riunione si sia tenuta conferma che il problema esiste, sebbene in superficie emerga solo la punta dell’iceberg, rappresentata dai pochi Comuni calabresi che si sono opposti al rinnovo dei contratti a tempo determinato temendo cause future di risarcimento danni da parte dei lavoratori che non dovessero essere stabilizzati.
Sindaci “ribelli” che hanno tenuto duro nonostante le pressioni della politica e dei sindacati, divenute quasi insostenibili durante la campagna elettorale che ha preceduto la tornata del 4 marzo. Adesso che le urne sono silenti (almeno per ora), la tensione si è allentata e il velo di ipocrisia si è leggermente squarciato. Da qui la decisione di convocare un tavolo tecnico al quale hanno preso parte l’assessore al Lavoro Angela Robbe, il dirigente del rispettivo dipartimento, Fortunato Varone, il presidente di Anci Calabria Gianluca Callipo, i sindaci di Acquaro, Pizzoni, Dasà, Arena, Dinami, nonché i sindacalisti Luigi De Nardo (Cgil), Sergio Pititto (Cisl) e Luca Muzzupappa (Uil).
"Va tutto bene": il verbale che non convince
Decisamente edulcorato il resoconto finale, che non lascia intravedere grandi nodi da sciogliere. Ma chi ha partecipato alla riunione riferisce che le cose sono andate diversamente. Innanzitutto, la Regione per la prima volta ha ammesso che il problema esiste e che grava principalmente sulle amministrazioni che hanno prorogato i contratti a tempo determinato agli ex Lsu e Lpu (circa 5mila in tutta la Calabria), che sono anche la stragrande maggioranza. Sono loro, infatti, che rischiano grosso se le stabilizzazioni promesse non dovessero prendere forma concreta, perché la riforma Madia prevede esplicitamente che i lavoratori contrattualizzati a termine per più di 3 anni possano chiedere i danni.
I nodi da sciogliere
Il problema principale resta la copertura finanziaria che rischia di saltare già dal 2019, quando bisognerà rimpinguare i 50 milioni d’euro l’anno decisi dalla legge di Bilancio per il triennio 2015-2018. Senza contare l’altra condizione indispensabile per procedere alla stabilizzazione dei lavoratori: la disponibilità della pianta organica. In altre parole, se non c’è carenza di personale non è possibile assumere a tempo indeterminato i precari che lavorano negli enti, alcuni addirittura da più di 20 anni.
Per far fronte alla mancanza di posti liberi, la Regione aveva ipotizzato nuove norme per favorire le mobilità tra enti e consentire, almeno sulla carta, il rispetto di questo requisito. Per ora, però, si tratta solo di ipotesi, tanto che alcuni Comuni come Serra San Bruno e Fabrizia, nel Vibonese, hanno già messo le mani avanti, deliberando sull’impossibilità di procedere a stabilizzazioni nel corso del prossimo triennio proprio per saturazione delle proprie piante organiche. Alla fine, a essere stabilizzati, cioè assunti con contratto a tempo indeterminato, potrebbero essere solo una piccola parte dei 5mila ex Lsu e Lpu della Calabria.
I sindaci "ribelli" avevano ragione
Dunque, se sino a ieri i sindaci ribelli ero stati messi sulla graticola perché non “collaboravano”, oggi appare evidente che non avevano torto e il processo di stabilizzazione è costellato di insidie concrete. Una conferma indiretta arriva dalle parole dello stesso dirigente del dipartimento regionale per il Lavoro, Varone, che nel corso della riunione avrebbe candidamente ammesso: «Siamo consapevoli dei problemi che investono i Comuni che hanno prorogato i contratti». Parole che contrastano fortemente con una serie di circolari regionali, dichiarazioni pubbliche e prese di posizione nette che negli ultimi mesi non hanno fatto che ribadire l’assoluta linearità del percorso tracciato dalla Regione.
Il bacino Lsu e Lpu non si è mai chiuso
La cosa si fa più chiara quando, sempre nel corso della riunione alla Cittadella, viene spiegato che i fondi statali sono proporzionali ai contratti stipulati. In pratica, il Governo è pronto ad allargare i cordoni della borsa in presenza di rapporti di lavoro confermati. Maggiori sono i contratti, maggiore è lo stanziamento al quale la Calabria si può aspirare.
Un meccanismo perverso che però non intacca il rischio di cause da parte di chi, dopo tre anni di precariato, può chiedere i danni se viene lasciato a casa. Una spada di Damocle sulla testa dei Comuni che hanno rinnovato i rapporti di lavoro ma che ora che sono in ballo devono continuare a ballare. Così come deve fare la Regione, che comunque ha già pronto in un cassetto un provvedimento che stabilisce l’impiego come Lsu e Lpu dei lavoratori non contrattualizzati, riaprendo anche formalmente quel bacino dei precari calabresi che, nei fatti, non si è mai chiuso. Una decisione che suscita più di qualche imbarazzo e che forse proprio per questo non è ancora stata ufficializzata, ma che consentirà di prendere due piccioni con una fava: giustificare l’erogazione del sussidio (circa 800 euro) che come sempre viene ancora versato ai lavoratori al momento senza contratto e, allo stesso tempo, preparare il terreno per accogliere i precari che dal prossimo anno dovessero ritrovarsi senza rinnovo del rapporto di lavoro a tempo.
Enrico De Girolamo