Risalgono al luglio 2017 i licenziamenti alla Mct, la società terminalista che gestisce il porto di Gioia Tauro. Erano stati mandati a casa 377 lavoratori secondo dei criteri che oggi il tribunale di Palmi sta smantellando, condannando l'azienda alla reintegra nel posto di lavoro di 150 persone, almeno per il momento. Attese entro febbraio le prossime pronunce del giudice del lavoro.
Dopo un anno e mezzo di lotte, dunque, tornano a sorridere i primi lavoratori ad aver ottenuto una sentenza favorevole. Molti sono padri di famiglia e descrivono i mesi alle loro spalle come un calvario.

 

Sorride anche Giuseppe Rizzo, segretario regionale della Uil trasporti, sigla che assieme al Sul aveva deciso di non firmare l’accordo sindacale che completava la procedura di licenziamento collettivo nel giugno del 2017.
«Noi ci abbiamo sempre creduto, fin dall’inizio - dice il sindacalista -. Uil trasporti non ha firmato quell’accordo scellerato. Ringrazio chi ha lavorato al Tribunale di Palmi per la celerità con cui ha riconosciuto ai lavoratori i propri diritti. Abbiamo richiesto un incontro con il ministro Toninelli perché tutti i lavoratori vogliono parlare con lui. Il problema reale a Gioia Tauro non sono le cause che si stanno vincendo ma portare container in questo porto. La politica tutta deve capire che il Porto di Gioia Tauro rappresenta il 50% del Pil calabrese, non è immaginabile un futuro senza i lavoratori. Ecco perché non ci sentiamo rappresentati e chiederemo la testa del management che ha sbagliato questa procedura per il licenziamento collettivo. Non possiamo attendere che si sbagli di nuovo e magari il porto venga chiuso».

 

Adesso cosa accadrà invece ai lavoratori che sono rimasti in servizio? Rischiano di essere licenziati per far posto a chi invece ha vinto il ricorso?
«L’azienda continua a glissare, ma probabilmente lo scivolamento ci sarà – cconclude il sindacalista -. Chi ha firmato quell’accordo ha avallato i vizi di forma e anche l’articolo 17, che prevede appunto questa procedura di sostituzione. L’azienda deve confrontarsi con i sindacati e la politica perché fare lo scivolamento su 200/250 persone significa un suicidio. Questa vicenda è già costata all’azienda, ai lavoratori, al territorio oltre 15 milioni di euro e soprattutto due anni di tempo perso».