Un circolo vizioso che alimenta un gap da cui è difficile affrancarsi, perché è come la proprietà transitiva: se A è uguale a B e B è uguale a C allora anche C è uguale ad A. Comunque sia, lo scarto di cui parliamo è quello tra le varie aree dell’Italia in cui riassumendo in maniera assai elementare: i più poveri studiano peggio e per questo motivo restano poveri considerato come poi dispongano di minori strumenti per contribuire a risollevare le terre d’origine.

Ma a spiegarlo molto meglio è l’articolo proposto dall’ordinario di Politica Economica dell’Umg di Catanzaro Vittorio Daniele sulla rivista economiaepolitica.it. Eloquente il titolo, scritto o quantomeno suggerito dallo stesso prof: «Divari regionali nelle competenze scolastiche e diseguaglianze socioeconomiche» che suggerisce - anticipando i contenuti del testo - come vi sia una strettissima correlazione fra il livello e la qualità dell’offerta culturale e formativa di un determinato luogo e la sua prosperità finanziaria. Una specie di ‘equazione perfetta’ che obbligherebbe a investire molto nella Didattica da Roma a scendere.

Nell’incipit del pezzo si sottolinea infatti come “la riduzione dei divari territoriali nelle competenze degli studenti sia appunto un obiettivo del Programma nazionale di Ripresa e Resilienza (ormai conosciuto con l’acronimo Pnrr) in base a cui vanno realizzati una serie di interventi di “supporto, formazione e tutorato” per presidi, insegnanti e scolari, alla luce delle nette differenze tra alunni del Nord e del Sud palesate dai test Ocse 2018 e Invalsi 2019.

Lo stimato docente Daniele, dopo aver accennato al distacco che esiste tra Settentrione e Meridione per i ben noti motivi storici, si sofferma su una recente rilevazione dell’Ocse-Pisa - datata 2018 - inerente alle prove sostenute dai 15enni nella Matematica. Ebbene, l’esito è fin troppo manifesto (e desolante) con medie che mettono in evidenza i 515 punti ‘totalizzati’ nell’Italia settentrionale a fronte degli appena 458 del Mezzogiorno con la circoscrizione Sud-Isole (in cui ci sono Calabria, Sicilia, Sardegna e Basilicata) ancora più giù: addirittura a quota 445. Un dislivello fra le due realtà geografiche del Paese “corrispondente a quello che intercorre fra la Svizzera e la Serbia in Europa”, tanto per intenderci meglio. Un dato su cui ragionare e correre ai ripari al più presto.

E del resto nella prova Invalsi del 2019, nell’esame di Lingua italiana, un alunno su due delle superiori meridionali non ha raggiunto un livello adeguato mentre al Nord si sono fermati a una percentuale pari circa a un alunno su cinque. Marcata inoltre la differenza fra regioni più ricche con un Pil alto e più povere quali, ad esempio, la Calabria. Ma quello che la ricerca in questione mette in rilievo, noi lo diciamo in termini crudi. La sostanza, insomma, è che è come trovarsi di fronte a un cane intento a mordersi la coda, perché la povertà relativa è “fortemente correlata con i punteggi regionali” in Aritmetica.

C’è inoltre da ricordare come tale ‘circolo vizioso’ resti acclarato dalla statistica anche quando nelle analisi si includono Pil per abitante e talune variabili sulla didattica (carenza di insegnanti); risorse e strutture scolastiche (dotazione di pc, biblioteche ecc.) nonché grado di autonomia delle singole scuole”. Emblematiche pure le conclusioni dell’estratto finale del lavoro di Daniele: “Le differenze individuali nell’apprendimento scolastico sono spiegate da fattori genetici e ambientali, che interagiscono fra loro sin dall’infanzia in cui il contesto socio-familiare riveste grande importanza”.

Ma c’è anche da riferire come “le condizioni sociali ed economiche si riflettano, come ovvio, anche sui risultati delle scuole. In quelle, ad esempio, situate nei quartieri svantaggiati, i punteggi medi nei test sono inferiori ai risultati fatti segnare negli istituti delle zone benestanti”.