Sognate il premio Nobel? Allora prendete qualcosa che sia molto più piccolo di un atomo, diciamo un protone, e dividetelo cento milioni di volte, volta più volta meno. Se ora riuscite a vedere cosa avete ottenuto, non passerete inosservati neppure alla fondazione svedese che annualmente assegna la massima onorificenza mondiale a chi apporta i benefici maggiori per l’Umanità. Tra questi eletti c’è anche un fisico calabrese, Sergio Gaudio, teorico della materia condensata, quella branca scientifica che studia appunto le proprietà fisiche dell’infinitamente piccolo.

 

Gaudio ha 47 anni, è nato a Vibo Valentia, città della madre, ma è cresciuto e ha frequentato il liceo a Palmi, luogo di origine del padre, ex sindaco della città in provincia di Reggio. Fa parte del team internazionale di studiosi impegnati nella gestione del Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), una sorta di immenso telescopio virtuale lungo 4 chilometri che si trova negli Stati Uniti. Grazie a questo strumento, costruito nel 1999 e costato sino ad oggi circa 600 milioni di dollari, Gaudio e i suoi colleghi sono riusciti a osservare per la prima volta le onde gravitazionali, cioè quelle increspature impercettibili dello spazio-tempo, con una lunghezza d’onda di 10 alla meno 23, teorizzate da Albert Einstein 100 anni fa ma mai intercettate. A provocarle sono catastrofici scontri tra oggetti spaziali di enorme massa, come la fusione di due buchi neri avvenuta a 1,8 miliardi di anni luce dalla Terra e rilevata dal Ligo il 14 agosto scorso. Il coronamento di 20 anni di tentativi passati a provare l’esistenza delle onde gravitazionali, grazie agli sforzi dei tre scienziati - Rainer Weiss, Barry C. Barish e Kip S. Thorne - che hanno materialmente ritirato il Nobel 2017 alla fisica per il loro contributo alla realizzazione dell'osservatorio statunitense. Gaudio li definisce “i nostri padri fondatori”, ma dietro di loro ci sono il ricercatore calabrese e altri 1.100 scienziati provenienti da ogni parte del mondo, 200 dei quali dall’Italia. Un Nobel in “condominio” che però non sminuisce l’orgoglio di un risultato che definisce storico.

 

«La notizia del Nobel è stata una sensazione fantastica - dice Gaudio, raggiunto al telefono mentre è ancora negli Usa -. Il più alto riconoscimento a un lavoro collettivo che ha visto il coinvolgimento di migliaia di studiosi. Io sono stato particolarmente fortunato, perché ho cominciato a lavorare sul progetto due anni fa, quando ci sono state le prime rilevazioni delle onde gravitazionali. Ma non è finita qui, perché nelle prossime settimane ci saranno nuovi importanti annunci da parte del nostro team».

 

L’entusiasmo dei ricercatori è alle stelle. E non solo per il più prestigioso riconoscimento possibile arrivato da Stoccolma, ma soprattutto per le conseguenze scientifiche della ricerca. «Niente sarà più come prima - assicura Gaudio -. È una svolta epocale per la fisica, paragonabile alla scoperta dell’elettromagnetismo e dei Raggi X, probabilmente la cosa più importante degli ultimi 50 anni».

 

Ma quando c’è di mezzo il Nobel anche l’algido aplomb della comunità scientifica si scalda. Tra gli studiosi c’è già chi dice che questo premio dovrebbe essere assegnato soltanto a chi elabora e prova nuove teorie, a chi fa materialmente le scoperte, non certo a chi costruisce “occhiali” speciali per vederle. Una chiave di lettura che non convince affatto Gaudio. «L’interferometro laser non è un semplice telescopio – avverte il fisico calabrese -. Questi non sono solo “strumenti”, ma rappresentano un modo completamente nuovo di guardare l’universo». Anche il fatto che Ligo sia costato sinora più di 600 milioni di dollari non è un’obiezione valida: «Se vogliamo che la ricerca scientifica avanzi, occorrono risorse importanti. Non a caso questo è un progetto internazionale cofinanziato da più parti. Insomma, il gioco vale la candela».

!banner!

 

L’orgoglio per i risultati scientifici raggiunti anche con il contributo del suo lavoro, si è riverberato immediatamente sui social, con centinaia di messaggi da parenti, colleghi e amici italiani, a conferma di un legame ancora fortissimo con la sua terra. «La mia Calabria - sottolinea con trasporto Guadio -. È la mia casa, c’è la mia famiglia, e ci torno appena posso, almeno due volte all’anno. Il mio senso di appartenenza è forte e sono felice che questi risultati scientifici inorgogliscano anche i calabresi. Credo però che la Calabria debba imparare a fare rete, anche all’estero, affinché vengano davvero valorizzate e messe a frutto tutte quelle cose di cui andiamo fieri». Infine, obbligato a rispondere alla domanda di rito, rivela tutta la sua italianità per nulla appannata dalla lunga permanenza negli Usa. «A chi dedico il mio pezzettino di Nobel? – dice – Senza dubbio ai miei genitori, ai sacrifici che hanno fatto…».

 

Enrico De Girolamo