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Intervento del presidente Michele Lico: “Fare impresa oggi, soprattutto nel nostro territorio, è sempre più difficile. Nell’operare quotidianamente per mandare avanti con impegno e responsabilità un’attività produttiva, che genera comunque ricchezza sociale, in termini di valore aggiunto e di occupazione, ci si rende conto che le difficoltà maggiori non sono date solo dalle criticità endemiche e dagli effetti devastanti della crisi economica degli ultimi anni, quanto dai continui tentativi di delegittimazione o di superficiali e/o ingiusti provvedimenti giudiziari amministrativi che di fatto rischiano di pregiudicare irrimediabilmente la sussistenza delle aziende, l’onorabilità personale e professionale di chi le governa, i posti di lavoro creati e mantenuti con tanti sacrifici e difficoltà. Non può essere sfuggito ai lettori più attenti dei fatti di cronaca degli ultimi tempi, come, sempre nel nostro territorio, vi è un costante ripetersi di provvedimenti di fallimento e di interdittive antimafia che si rivelano il più delle volte adottati con superficialità e discrezionalità, considerato che spesso, ne viene disposta successivamente la revoca, ma quando ormai il danno è fatto per l’attività produttiva, costretta alla chiusura, per i lavoratori ovviamente licenziati, per l’economia locale privata di una fonte di reddittività e di benessere sociale. Con il danno maggiore e molto reale che lo spazio “economico” occupato dalle aziende di fatto sane e ingiustamente colpite, venga così occupato da imprese sì “poco trasparenti” o “in odor di mafia” o gestite indirettamente da queste.
Questi provvedimenti che spesso si evidenziano essere basati su motivazioni deboli, o su ipotesi e circostanze insussistenti e comunque ormai datate, ed adottati senza un accertamento e un esame approfondito dei fatti, sono un evidente “disastro” sociale, difficile, se non addirittura impossibile da recuperare.
Questo sistema non funziona e non può non essere revisionato, pena la frustrazione delle migliori energie e delle legittime aspettative di questo territorio, delle regole di mercato e della libera concorrenza, che così risulta alterata e iniqua.
Insomma si rischia così di cancellare anche imprese storiche, sane e assolutamente “impermeabili” a qualsiasi anomala influenza esterna.
Questo sistema se non trova immediati correttivi di verità, equità e giustizia -certi ed effettivi- rischia anche di alimentare un clima di sfiducia verso le istituzioni e chi le rappresenta, e di minare la tenuta sociale per un’esasperazione dei livelli di povertà a cui andrebbe in contro il territorio per mancanza di occupazione e di nuove opportunità di lavoro.
Mi ritrovo oggi, a ribadire un concetto già espresso in passato, perché purtroppo da allora nulla è cambiato: in un territorio difficile come il nostro il compito di verifica e controllo è certo più complicato, ma proprio per questo è necessario procedere con maggiore cautela e, soprattutto, evitare di alimentare inutilmente un clima di sospetto verso il sistema imprenditoriale locale, che come ogni altro potrebbe presentare qualche elemento anomalo, ma che sostanzialmente è costituito da imprenditori e da lavoratori onesti –quadri, dirigenti, operai- quotidianamente impegnati in sfide competitive, non solo di innovazione, ma prima ancora di immediata sopravvivenza. Lottare contro la crisi fa parte del rischio d’impresa, si accetta, ci si rimbocca le maniche e si va avanti. Lottare contro le decisioni ingiuste è cosa più difficile perché queste potrebbero pregiudicare senza appello immagine pubblica e motivazioni personali, annientando la credibilità di persone, che rivestono anche ruoli pubblici, e imprenditori onesti che rappresentano una risorsa soprattutto per una città, per una provincia come la nostra che, ancora gli ultimi indicatori economici evidenziano essere la provincia più povera d’Italia.
L’auspicio è che ciascuno di noi, nel proprio ruolo, sociale o istituzionale che sia, si assuma consapevolmente la responsabilità del futuro di questo territorio, agendo con equità e giustizia, evitando, soprattutto nell’espletamento di un ruolo pubblico quei “capolavori di ingiustizia” che, come diceva Platone, consistono “nel sembrare giusto senza esserlo”!