Gli enti morosi non rischiano il distacco perché rientrano tra gli utenti pubblici protetti dalla “clausola di salvaguardia”, che però in Calabria ha un costo molto più alto che al Nord. Ne consegue che i pagamenti ritardati finiscono per accrescere in maniera considerevole le passività (ASCOLTA L'AUDIO)
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La crisi energetica non morde soltanto famiglie e imprese, ma anche i comuni che di loro già non navigano nell’oro, almeno a queste latitudini dove un terzo dei comuni è in difficoltà finanziarie. Così abbiamo assistito a sindaci che hanno spento le luci stradali, sindaci che hanno minacciato di ridurre i servizi per pagare le bollette, sindaci che vorrebbero ridurre l'orario delle scuole ed uffici, sindaci che hanno smesso di pagare le bollette perché non «hanno copertura finanziaria» (finendo così in "salvaguardia").
Purtroppo dai dati in nostro possesso sono molti i primi cittadini che, sia pure per causa di forza maggiore, hanno scelto di seguire la strada della salvaguardia. Questa strada, però, comporta una serie di conseguenze molto pesanti dal punto di vista economico. I Comuni infatti, rientrano fra quelle utenze che tecnicamente vengono definite non disalimentabili pur in assenza dei pagamenti.
A quel punto lo stato mette a bando il servizio di fornitura per chi non paga, gara che ovviamente va al ribasso. Finiscono in salvaguardia gli enti pubblici che non pagano le bollette dell’energia elettrica, dato che non sono utenze elettriche disalimentabili per i servizi pubblici ed essenziali che svolgono (scuole, uffici comunali ecc.). Le compagnie che si aggiudicano la gara per il servizio di salvaguardia sono obbligate a fornire energia elettrica ai comuni che non pagano non avendo certezza del “se” e del “quando” incasseranno i soldi delle bollette. Ovviamente tutto questo ha un costo che si ripercuote nella maggioranza delle bollette o per dirla tecnicamente nel fattore “omega” che è appunto il surplus che debbono pagare i comuni per avere ancora la fornitura elettrica.
In Calabria nel 2023 il costo del servizio in salvaguardia passerà da €26,60 a €123,34 per megawattora (spread o fattore “omega” comunque vogliate chiamarlo) che si aggiungeranno al costo dell’energia, e dato che il Pun (prezzo unico nazionale dell’energia) oggi si aggira su 220€/MWh, in pratica un Comune che avrà la “sfortuna” di non pagare le bollette dell’energia elettrica e di finire in salvaguardia dovrà fare i conti con un costo dell’energia maggiorato di circa il 50% rispetto agli altri comuni «in regola con i pagamenti». Tanto per fare degli esempi se il kWh costa 0,20, un comune in salvaguardia lo paga 0,33; se un Megawatt costa 200, in salvaguardia il Comune lo pagherà 323. Se poi teniamo in considerazione che già il prezzo dell’energia è triplicato rispetto al 2020/2021, allora la cosa diventa alquanto preoccupante.
L’ultima annotazione riguarda proprio il fattore Omega che ovviamente non è omogeneo in tutta Italia. Ad esempio in Veneto costa 24,90 €, in Lombardia 15,90, ed in Calabria di 120€. Perchè? Perché la Calabria nel mese scorso aveva 166 utenze in salvaguardia di cui 131 non disalimentabili (comuni, province, ASP ecc.) mentre il Veneto ne ha 60 con un credito per bollette non pagate che è oltre 10 volte inferiore a quello della Calabria come dire che in Calabria il rischio di beccare una fregatura da un comune è centinaia di volte superiore che in Veneto.
Naturalmente tutto questo discorso va calato nel nostro contesto in cui abbiamo i maggiori comuni che sono in dissesto o predissesto. Con questa situazione difficilmente i Municipi riusciranno a non affogare nei debiti. Un motivo in più per spingere sulla produzione di energie rinnovabili in Calabria come sta facendo Occhiuto, che è tornato anche a chiedere con forza la realizzazione del rigassificatore di Gioia Tauro. Un buon inizio certamente, ma qualcosa va fatto nell’immediato per aiutare i poveri sindaci calabresi.