«Chi ha paura della povertà non è degno della ricchezza».
(Victor Hugo, I Miserabili).

Ma qui non è questione di paura, né di ricchezza. Qui si tratta di una sentenza, pronunciata senza processo, eseguita senza rimorso.

L'Italia non è più una casa, ma un albergo di lusso per chi può permetterselo, un Paese che sfratta i suoi figli e affitta le sue stanze al miglior offerente. I numeri sono tagli netti sulla pelle della società.

Per comprare un appartamento di 80 metri quadrati, un operaio dovrebbe sacrificare ogni centesimo del suo salario per oltre undici anni, senza mai vivere. A Milano, il verdetto è ancora più spietato: ventitré anni di stipendio, come se lo stesso operaio dovesse lavorare per più di due decenni senza mangiare, senza vestirsi, senza scaldarsi nelle gelide notti d’inverno.

Gli affitti sono diventati cifre senza umanità: duemila euro per un trilocale a Milano, oltre milleottocento a Firenze, millecinquecento a Bologna. Lavorare non significa più vivere. Significa sopravvivere.

Eppure, la storia ha sempre avuto i suoi espulsi. Un tempo erano soltanto i poveri, gli ultimi, gli invisibili. Oggi sono anche gli insegnanti, gli infermieri, i ricercatori, gli impiegati. Oggi è il ceto medio che scivola verso il margine, che perde la terra sotto i piedi.

Le città cambiano volto, si svuotano dei loro abitanti, si spogliano della loro anima. Non sono più per chi le vive, ma per chi le possiede. Le case non si comprano più con il sudore, ma con le rendite. Non è il mercato, è un rito di esclusione. Chi ha già, continuerà ad avere. Chi non ha, non avrà mai. Il sogno della casa di proprietà non è morto, è stato assassinato.

«E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze…
»
(Salvatore Quasimodo, Alle fronde dei salici).

Oggi non ci sono bombardamenti, non ci sono macerie nelle strade d'Italia. Eppure, si viene cacciati lo stesso. Il piede straniero non è quello di un esercito invasore, ma quello di un mercato crudele e silenzioso, che schiaccia senza far rumore.

Le città si stanno trasformando in contenitori vuoti, in salotti dorati dove nessuno più abita davvero. Milano, Torino, Venezia, Bologna, Firenze e Roma non sono più città. Sono vetrine, esposizioni permanenti di un’Italia che non esiste più.

Ma questo cancro del mercato immobiliare non si ferma ai grandi centri, o al Nord.
Si insinua anche in provincia, si diffonde, avvelena tutto lo Stivale come una metastasi inarrestabile. Raggiunge anche il Sud, dove le case costano ancora un po' meno, ma dove la povertà è più feroce.

Non è solo la mancanza di case popolari o la speculazione sugli affitti brevi a stritolare il mercato immobiliare. Un altro fenomeno sta ridisegnando il volto delle città: l’assalto degli investitori stranieri nel settore dello student housing.

Bologna, ad esempio, non attrae solo studenti universitari, ma anche fondi immobiliari e private equity, che hanno trasformato il bisogno di alloggi in un'enorme occasione di business. Il fondo francese Ardian e il gruppo Rockfield Real Estate, specializzato in residenze studentesche di lusso, hanno appena acquisito lo studentato di via Serlio, un complesso da 16 piani con oltre 500 posti letto a mille euro al mese, già quasi esaurito. Un’operazione milionaria che segue la strategia delle grandi città universitarie europee: alzare gli standard, alzare i prezzi, selezionare un target di studenti d’élite. Chi può permetterselo, studia. Chi non può, cerca un posto letto in affitto condiviso con altri quattro o cinque studenti, spesso senza contratto.

Il mercato dello student housing è diventato la nuova gallina dalle uova d’oro: gli investitori acquistano edifici interi, li trasformano in residence di lusso con sale studio, palestre, sale yoga e cinema interni, e affittano solo a chi può pagare cifre proibitive. Il modello, importato da città come Londra e Berlino, sta prendendo piede anche in Italia, spingendo i prezzi verso l’alto e rendendo la casa non più un diritto, ma un lusso riservato a pochi.

Come siamo arrivati a questo punto? Negli ultimi vent’anni, le case non sono più considerate un diritto, ma un investimento. Il mercato immobiliare è stato lasciato senza regole, trasformato in un casinò finanziario. Gli affitti sono impazziti perché i proprietari, invece di affittare a chi lavora, preferiscono rincorrere il turismo, il breve termine, il guadagno facile. Il lavoro precario ha impedito a un’intera generazione di accedere a mutui e garanzie. Gli stipendi sono fermi, mentre le case volano.

E lo Stato? È assente. Le case popolari sono poche e fatiscenti, le politiche abitative un miraggio. Gli affitti salgono senza freni, mentre chi cerca stabilità trova solo precarietà. Nessun incentivo premia i contratti a lungo termine, nessuna tutela protegge chi ha bisogno. Gli sgravi fiscali? Un privilegio per chi possiede già troppo, e un'illusione per chi sogna un tetto sicuro.

E allora la domanda è questa: può esistere una città senza il suo popolo? Può esistere un Paese senza chi lo costruisce, senza chi lo tiene in piedi, senza chi ogni giorno lo abita con fatica?

La risposta è già scritta nei portoni chiusi, nei cartelli “Vendesi” inchiodati ai palazzi deserti, nelle finestre spente di chi è stato costretto a partire.

Si può fermare tutto questo? Sì, si può. Non è vero che il mercato è una forza inarrestabile. In diversi Paesi europei, come Germania, Francia e i Paesi nordici, il mercato degli affitti è regolamentato: i canoni sono calmierati in alcune città, gli sfratti controllati e la casa è considerata un diritto, non solo un bene di mercato.

In Italia, invece, il mercato immobiliare è una giungla senza legge. E allora servirebbe una rivoluzione culturale e politica, prima ancora che economica. Serve un piano abitativo nazionale, servono leggi che proteggano chi affitta, servono case per chi lavora e non solo per chi investe. Altrimenti, l'Italia diventerà un Paese di proprietari assenti e cittadini senza casa.

Un Paese senza figli, senza futuro, senza anima. Perché il diritto alla casa non è una questione di mercato, è una questione di potere.

Chi non ha un luogo che lo protegga, non ha neanche la forza di ribellarsi. E così, senza accorgercene, siamo diventati turisti della nostra stessa vita.

Senza casa.

Senza città.

Senza il luogo del ritorno.