Una filiera di eccellenza del Tartufo di Calabria, che coniughi scienza, sostenibilità e impresa, accompagnando lo sviluppo e la valorizzazione turistica dei numerosi territori regionali vocati: questo l’obiettivo del convegno scientifico nazionale promosso a Rende nella sede del Crea Foreste e Legno in cui esponenti istituzionali, esperti di settore, associazioni di categoria e appassionati si sono confrontati sulle tecniche di coltivazione e raccolta del tartufo esugli impatti ambientali e socioeconomici della sua valorizzazione.

La tartufaia di Rende

Contestualmente è stata presentata alla stampa ed agli addetti ai lavori la tartufaia sperimentale realizzata dal Crea Foreste e Legno, in un’area di circa un ettaro con oltre 160 alberi appartenenti a sette diverse specie forestali autoctone opportunamente inoculate con spore di tartufo estivo. Si tratta di una collezione di piante madri plus, giunta da un vivaio di Soveria Mannelli, ed è la prima, nel suo genere, accessibile anche ai ciechi e agli ipovedenti. Qui sarà possibile condurre studi e sperimentazioni su come migliorare la produzione di tartufi sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, utilizzando tecniche colturali specifiche idonee sia per l’essenza forestale che per il micelio.

 La tartufaia rappresenta, inoltre, una valida alternativa alla produzione dei tartufi senza l’eccessivo sfruttamento antropico che minaccia invece l’integrità dell’habitat e dell’ecologia di ambienti naturali tartuficoli italiani. Infine,  permette di organizzare sia la parte pratica dei corsi di formazione rivolti agli aspiranti tartuficoltori, tartufai e addestratori di cani da tartufo sia gli incontri didattici con studenti delle scuole e di associazioni di promozione sociale.

Carenza di cavatori sul territorio

Il tema è stato al centro del primo convegno scientifico nazionale Il Tartufo di Calabria promosso con il sostegno del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste ed il patrocinio tra gli altri, di Arsac e Calabria Verde. Un terzo del territorio calabrese, pari a circa cinquecentomila ettari, è coperto da boschi. Queste zone sono tutte potenzialmente adeguate alla produzione di tartufo ed anzi, si ritiene che in buona parte il prezioso tubero vada perduto perché non raccolto. Soprattutto per la carenza di cavatori: «In Calabria ci sono circa 660 tartufai. Per fare un confronto, la sola provincia di Piacenza conta settemila tesserati – spiega Giuseppe Paone presidente della locale sezione dell’Associazione Tartufai Italiani – Eppure la presenza del tartufo in questa regione viene segnalata anche in alcuni scritti storici risalenti al periodo della Magna Grecia. Per quanto concerne la qualità, in Calabria abbiamo undici differenti varietà, di cui nove di colorazione nera e due di colorazione bianca, inserite nella tabella regionale».

«Dove sono le maggiori tartufaie in Calabria? Non esiste una mappatura, anche perché i tartufai custodiscono gelosamente le conoscenze acquisite negli anni battendo palmo a palmo il territorio. Certamente i boschi del Pollino e quelli della Sila, soprattutto la Sila Greca, ospitano piante in grado di creare le condizioni favorevoli per generare tartufi. Ma non solo. Anche tra le province di Vibo valentia e di Reggio Calabria vi è un ottimo livello di cavazione, soprattutto di tartufo bianco ma anche di uncinato invernale. Penso che proprio queste aree siano ancora da scoprire. Ritengo – ipotizza Paone - che nel vibonese vi siano le tartufaie più pregiate per la bassissima contaminazione delle acque e per la presenza di aree boschive con piante in età avanzata».

Condizioni ideali

Tartufaia sperimentale

L’appuntamento ha registrato l’intervento di numerosi relatori. Dopo i saluti di Rosaria Succurro, presidente della Provincia di Cosenza cui appartiene il terreno concesso in uso al Crea per allestire la tartufaia, e l’intervento del commissario Arsac Fulvia Caligiuri, ha preso la parola Piermaria Corona, direttore del Crea Foreste e Legno: «Il bosco è l’area naturale in cui si sviluppano i tartufi, soprattutto nelle zone a terreno più calcareo, più drenate. E poiché la Calabria è ricca di queste aree è lecito pensare che la produzione di tartufi in questa regione possa ancora crescere. Inoltre, attraverso una adeguata gestione selvicolturale queste produzioni naturali possono essere incrementate. Per cui anche in termini di reddito, il tartufo può rappresentare un supporto alle comunità locali dell’entroterra. Il Crea vuole così collaborare nella creazione di un sistema tartufo della Calabria».

Modello sperimentale

Innocenzo Muzzalupo, dirigente di ricerca del Crea, ha spiegato il funzionamento della tartufaia «che servirà anche a perfezionare ed a rendere più idonee le tecniche colturali sia per la crescita delle essenze forestali su cui vivono i tartufi, sia per i tartufi stessi. Dobbiamo quindi predisporre tutti quei procedimenti che garantiscano il benessere di queste piante per avere di conseguenza una maggiore produzione di tartufi. Le sperimentazioni saranno condotte non solo per ottimizzare questo procedimento ma anche per individuare le condizioni che ostacolano lo sviluppo delle tartufaie. E inoltre per caratterizzare il prodotto dal punto di vista morfologico e genetico. Un processo di tipizzazione del tartufo di Calabria». Sette le tipologie di piante impiegate, tutte provenienti da un vivaio di Soveria Mannelli: rovere, roverella, leccio, sughera, pioppo, tiglio, carpino. La presenza della tartufaia però è utile anche nell’ambito della formazione: «Qui saranno organizzati corsi pratici anche nell’ottica del conseguimento del certificato di abilitazione per cavatori di tartufi» ha concluso Muzzalupo. 

Spazio per un salto di qualità

«La Calabria è la regione con la maggiore produzione di tartufo nel Mezzogiorno d’Italia ed è tra quelle con le condizioni più favorevoli per incrementarla ulteriormente – ha detto l’assessore regionale all’agricoltura Gianluca Gallo – Stiamo investendo, anche con il giusto approccio scientifico, per fare in modo di realizzare un salto di qualità sotto il profilo dell’offerta. Il progetto condotto dal Crea si affianca a quelli del nocciolo micorizzato e della quercia micorizzata portati avanti con Arsac, Calabria Verde e le associazioni di tartufai per far crescere questo segmento dell’economia. Ci sono ampi margini di mercato da sfruttare, tenendo conto che l’Italia per soddisfare la richiesta interna, deve importare circa dieci quintali di tartufi dai Balcani. Almeno una quota di questo fabbisogno potrebbe essere colmato proprio dal tartufo calabrese».