Una crescita, quella in valore, quasi ininterrotta dal 2010 al 2022. Decresciuti, invece, i volumi. Incremento del 6,30% sul 2021. Sul vino sfuso contrazione delle esportazioni negli ultimi anni: sono i tedeschi i maggiori importatori (59% circa) e i francesi (10%)
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Rossi, bianchi e rosati continuano a essere, con 4,64 miliardi di euro, la locomotiva dell’export italiano di vini (totale generale confezionati, dato 2022). Abbiamo sottolineato, nella precedente puntata di questa inchiesta proposta da LaCNews24, l’ascesa imponente delle bollicine che, però, non hanno ancora intaccato, con i 2,14 miliardi di esportazione in valore, la leadership consolidata dei cosiddetti “fermi”. Faremo riferimento ancora una volta, quale fonte prioritaria, ma non solo, all’ottimo lavoro di sintesi proposto dalla XIV edizione dell’Annuario statistico del Corriere Vinicolo, in partnership con l’Osservatorio del Vino Uiv (Unione Italiana Vini) e in collaborazione con l’Ais (Associazione Italiana Sommelier).
Prima di addentrarci nei dettagli, riassumiamo il quadro generale: l’Italia nel 2022 ha esportato 7,79 miliardi di euro di vini in valore, così suddivisi per tipologie: 60% (vini fermi), 28% (spumanti), 6% (frizzanti), 4% (sfuso). Se invece le diverse categorie vengono prese in considerazione tenendo conto dei volumi in litri si ottiene il seguente schema: 48% (vini fermi), 24% (spumanti), 8% (frizzanti), 17% (sfusi). Tre i grandi mercati di riferimento (Germania, Stati Uniti e Regno Unito) per l’export di rossi, bianchi e rosati: assieme assorbono il 50% del totale in valore e il 55% di quello in volume. Il podio cambia a seconda della misurazione in euro o in litri. In valore gli Usa conducono con il 25%, seguiti dalla Germania (17%) e dal Regno Unito (8%). In volume, invece, la medaglia d’oro va pari merito a Germania e Usa, con il 21% cadauno, e porta al 13% il Regno Unito. Il Canada e la Svizzera tallonano i britannici, con il 7% in valore ciascuno. Tra i mercati secondari i più consistenti sono, oltre ai citati Paesi dei Grandi Laghi e della Repubblica Elvetica, e sempre in valore, l’Olanda (4%), il Belgio e il Giappone. Chiunque debba vendere, producendo in una delle venti regioni italiane, almeno un classico cartone di sei bottiglie di rosso o di bianco, sa che solo 6 nazioni nel mondo (Usa, Germania, Regno Unito, Canada, Svizzera, Olanda) pesano il 68% dell’export italiano di vini fermi in termini di corrispettivo in euro, mentre tutto il resto del pianeta vale il 32%. In questo quadro, che ha segnato per i fermi confezionati un export record nel 2022 di 4,64 miliardi di euro (incremento del 6,30% rispetto al 2021) i vini Dop fanno la parte del leone con il 65% del valore complessivo.
Quasi ininterrottamente dal 2010 l’export di vini fermi confezionati italiani ha raggiunto nuovi primati, partendo da quota 2,65 miliardi. In dodici anni, quindi, quasi un raddoppio. Accanto ai Dop, il 30% in valore è dato dagli Igp, e il 5% dalla somma di vini varietali e comuni (quelli che, come abbiamo ricordato in altre puntate, non possono fregiarsi di una denominazione di origine). I Dop sono particolarmente apprezzati negli Usa, con una fetta di mercato che raggiunge quasi l’80% in volumi, mentre nel Regno Unito non arriva al 60% e in Germania si ferma sotto il 50%. Gli Igp trovano maggiore spazio tra tedeschi e britannici, così come i vini comuni. Se guardiamo ai mercati secondari, la quota di Dop (sempre in volumi) primeggia, in ordine decrescente, in Canada (oltre il 60%), Svizzera, (quasi il 60%), Olanda (sopra il 50%), Giappone, Russia e Danimarca (tutti sopra il 40%). I fermi comuni (il cosiddetto vino da tavola) del Belpaese, che hanno esportato nel 2022 per 183 milioni di euro, sono stati assorbiti per il 26% dalla Germania, e dal Giappone per il 7%. Quote significative di questo comparto meno costoso si riscontrano nel Regno Unito e in Danimarca (5%), Russia e Austria (3%). Gli Igp, sempre nel 2022, con 1,40 mln di euro hanno avuto come sbocco più interessante la Germania (21%), poi gli Usa (16%), il Regno Unito (8%), il Canada (6%), l’Olanda (5%), il Belgio (4%). Negli Usa l’export di Igp italiani ha subito un fortissimo calo in questi ultimi anni, passando dagli oltre 120 mln di litri del 2015 ai poco più di 40 dal 2019 al 2022. Analogo andamento nel Regno Unito che aveva toccato quasi 140 mln di litri nel 2011 per scendere ai circa 50 degli ultimi anni. La Germania, invece, rispetto al gradimento degli Igp è rimasta quasi ai livelli del 2010, con circa 80 mln di litri.
L’export in valore dei vini italiani fermi Dop ha toccato la quota record di 3,0 miliardi nel 2022, con un raddoppio rispetto al 2010, quando valevano 1,51 mld. L’incremento rispetto al 2021 è stato del 6,91%, pur con un leggero ridimensionamento in volumi, passati dai 597 mln di litri ai 567. L’analisi dei primi tre mercati che informazioni ci fornisce? Gli Usa dal 2017 a oggi hanno svoltato a favore dei vini Dop, passando dai 100 mln di litri circa degli anni 2010-2017, ai circa 160 mln del periodo 2020-2022. Stabili i tedeschi, sempre attorno ai 110-90 milioni di litri negli ultimi dodici anni. Incremento anche per il Regno Unito mossosi dai poco oltre 40 mln di litri del 2010-2013 agli 80 mln circa dell’ultimo quadriennio. In termini di valore, l’export di vini Dop italiani nel 2022 è stato assicurato per il 31% dagli Usa, per il 13% dalla Germania, per l’8% sia dal Regno Unito sia dal Canada, e a seguire da Svizzera (6%) e Paesi Bassi (4%). Per i Dop i mercati secondari in ascesa, dal 2010 a oggi, sono il Canada (dai 30 mln circa di litri del 2010 ai quasi 40 del 2022), il Belgio (dagli oltre 5 mln del 2010 agli oltre 15 del 2022) e l’Olanda (dagli oltre 10 mln del 2010 agli oltre 25 di 2021 e 2022). Altalenante il Giappone nell’ultimo quadriennio, con oscillazioni tra i circa 20 mln e i 10-15. Svizzera stabile, in dodici anni (2010-2022), nella fascia 20-25 mln di litri.
Chiudiamo con un passaggio sul vino sfuso, di tutte le possibili categorie (comuni, Igp, Dop). Il valore dell’export nazionale dal 2019 al 2022 con una media di circa 283 mln di euro in valore, è sceso sotto i livelli del 2010 quando quotava 330 mln. Punte massime fra il 2012 e il 2013 con 434 e 480 mln rispettivamente. Il comparto quindi, rispetto alle richieste provenienti dall’estero, è in discesa. Se si guarda ai volumi l’arretramento è ancora più marcato: 365 mln di litri nel 2022, contro i 744 del 2010 e addirittura gli 826 mln del 2011. Le percentuali per categorie, in valore, dei vini sfusi Made in Italy esportati nel mondo sono le seguenti: comuni e varietali, cioè da tavola e non IG (49%), Igp (27%), Dop (13%). In volumi, che si misurano in mln di litri, i comuni e varietali salgono al 70% del totale. I due mercati prevalenti per gli sfusi italiani sono la Germania, che nel 2022 ha assorbito oltre 200 mln di litri sul totale di 365, circa il 59% dell’intera quantità esportata, e la Francia con quasi 40 mln di litri (10%). In entrambi questi contesti negli ultimi dodici anni si è assistito a un vero e proprio crollo di richieste: nel 2010 i Tedeschi importavano quasi 400 mln di litri e i Francesi quasi 70 mln. Mercati minori per gli sfusi, compresi tutti fra i 10 e i 20 mln di litri, sono nell’ordine: Austria, Svizzera, Regno Unito, Svezia, Repubblica Ceca. La Germania, che come detto copre il 59% in volume degli sfusi esportati, corrispondente al 43% in valore, chiede vini comuni per l’81% del totale di oltre 200 mln di litri, e solo per il 9% Igp e per il 7% Dop. La quota di sfusi Dop in volume sale per il Regno Unito (24%) e per la Svizzera (19%). Gli Elvetici per il 60% di sfusi in volume richiedono vini Igp, un po’ di più dei Britannici che arrivano al 54%. La Francia, come la Germania, privilegia gli sfusi italiani da tavola (75% in volumi), e per il resto 20% di Igp e appena il 4% di Dop.
Nella prima puntata ci siamo soffermati sui numeri nazionali e internazionali del vino, tra produzione e consumi, ricordando come nel 2022 l’Italia sia risultato il primo produttore al mondo con 49,84 milioni di ettolitri, seguita da Francia (44,35 mln) e Spagna (28,50 mln). Questi tre Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (Francia e Spagna hanno anche una sponda atlantica) sono i leader incontrastati nell’economia di Bacco, tallonati, anche se ancora a notevole distanza, da Stati Uniti, Australia, Cile, Argentina, Sudafrica, Germania e Portogallo. Relativamente ai consumi, fatta base 100, il 75% è dato dai vini fermi e il 10% da spumanti e Champagne. Negli utili venti anni, dal 2003, è stata forte la crescita dei consumi di bollicine, vini rosati e bianchi, mentre è rimasta stabile, anche se ancora prevalente, quella dei rossi. La seconda puntata, invece, ha focalizzato l’attenzione sull’import ed export mondiale. Gli Usa si confermano i maggiori importatori di spumanti e vini imbottigliati, seguiti dal Regno Unito. Per i vini sfusi la testa della classificata è occupata dalla Germania. Per l’export di spumanti in testa l’Italia, seguita da Francia e Spagna. Ancora al primo posto il Belpaese per quanto concerne l’export di vini imbottigliati, tallonata ancora una volta da Francia e Spagna. L’export di vino sfuso, invece, nel 2022 ha consegnato la medaglia d’oro alla Spagna, con alle spalle Australia e Italia. Quale la situazione produttiva in Italia? È stato il tema della terza puntata. Il Belpaese punta molto sui vini Dop: nel 2002 hanno raggiunto il 48% della produzione totale. La regione leader per quantità assolute è il Veneto, seguito dalla Puglia e dall’Emilia Romagna Per superfici vitate, Spagna e Francia sono in testa alla classifica Ue e l’Italia è terza, con in vetta il Veneto e poi la Sicilia e la Puglia. La Provincia autonoma di Bolzano e il Piemonte scommettono tutto sulle Denominazioni di origine protetta, con percentuali altissime sulla produzione complessiva regionale di vini. Le realtà del Sud a maggiore vocazione vitivinicola sono Puglia, Sicilia e Abruzzo. Calabria fanalino di coda, contribuendo con lo 0,23% al volume di Dop nazionale. Nella quarta puntata abbiamo iniziato a indagare il tema dell’export del vino italiano che nel 2022 ha raggiunto la cifra, in valore, di 7,79 miliardi di euro. Il prezzo medio al litro, pari a 3,39 euro, è nettamente inferiore rispetto a quello dei temibili concorrenti francesi che è attestato a 8,8 euro. Da questa considerazione è nata la domanda: cosa fare nel futuro? Puntare sulle quantità o sulla massima qualità, nonché sul marketing, per spuntare prezzi più remunerativi sui mercati internazionali? Si è fatto poi riferimento alla crescita continua dal 2010 per le esportazioni vinicole del Belpaese: +8,69% sul 2021. E quindi si è giunti all’interessante comparto dei frizzanti, un mondo tutto da scoprire, che pesano l’8% in volume di tutto il vino esportato Made in Italy: Germania, Usa e Messico i mercati di riferimento primari. Nella quinta puntata, rimanendo al tema fondamentale dell’export nazionale di vini, si è parlato del “boom” delle bollicine: il veneto Prosecco leader assoluto e quote importanti per il piemontese Asti. Mercato primario di sbocco gli Usa, con il 25% del totale in valore. Alle spalle il Regno Unito con il 19%, e poi Germania (7%), Francia (5%), Russia (4%). Segnalate le differenze fra spumanti Made in Italy e Champagne francese.
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