Per i giovani che vivono nel sud Italia il percorso verso l’età adulta è «più lungo e complicato». Lo mette nero su bianco l’Istituto nazionale di statistica (Istat), facendo riferimento in particolare alla fascia d’età 18-34 anni e a quei “passaggi” che la caratterizzano, due su tutti: il distacco dalla famiglia d’origine e l’ingresso nel mondo del lavoro. Quel che emerge nel rapporto “I giovani del Mezzogiorno”, pubblicato oggi dall’Istat, è innanzitutto la flessione registrata in soli vent’anni anni: tre milioni di giovani in meno in tutta Italia dal 2002 ad oggi. La perdita maggiore si registra nel Mezzogiorno, con un -28%. In tutto ciò la Calabria è tra le regioni più in sofferenza: qui dal 2002 al 2022 la diminuzione di 18-34enni è stata del -31,4%.

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Al Sud sempre meno i giovani che lavorano

A pesare su quello che l’Istat definisce "inverno demografico" sono diversi fattori, collegati tra loro. C’è innanzitutto la carenza opportunità lavorative stabili e di buona qualità, che spinge ad emigrare altrove o ritarda il momento in cui si mette su famiglia. La mancanza di lavoro al Sud non è certo una novità, eppure i dati Istat rilevano un ulteriore peggioramento dello stato delle cose. Al Sud il tasso di occupazione fra i giovani dai 20 ai 34 anni, già basso nella generazione precedente (45,3%), si riduce ancora arrivando al 41,3%. Di conseguenza, resta alto il tasso di disoccupazione (23,6% contro il 9,1% del Centro-Nord).

I record negativi della Calabria 

Guardando alla Calabria, i dati relativi all’occupazione giovanile diventano ancora più tragici: lavora solo il 35,8%. Si tratta del dato più basso in Italia, ci sono poi la Sicilia con il 37,2% e la Campania con 39,4%. Considerando poi le sole donne calabresi si scende addirittura al 27,4%. 
L'altra faccia della stessa medaglia gli dice poi che la Calabria è la regione con il tasso di disoccupazione più elevato tra i giovani: è al 27,1%; seguita da Campania (25,2%); Sicilia (24%); Puglia (23,7%).

La Calabria è poi tra le regioni con una presenza maggiore di neet, ossia giovani non inseriti in un percorso scolastico o formativo, ma neppure impegnati in un’attività lavorativa: sono il 46,6%. Va peggio solo la Sicilia (53%), mentre la media del Sud è del 43,1% contro quella del Centro-Nord che si attesta al 26,5%.

Istat inoltre non considera solo il lavoro che manca ma anche quello precario e atipico, che soprattutto al Sud sembra sia diventato prevalente. Anche qua, altro record della Calabria: addirittura il 67% dei giovani non ha un contratto "non tradizionale". Seguono altre regioni del Sud: Sardegna (66,8%), Basilicata (63,3%), Sicilia (60,3%).

Cresce l'insicurezza 

Ovviamente, la crescente indeterminatezza della "transizione lavorativa" - osserva l'Istituto di statistica - influisce negativamente sulla qualità della vita dei giovani meridionali: oltre un giovane su due (51,5%) è insoddisfatto della situazione economica (contro il 40,7% nel Centro-nord), e un terzo la considera peggiorata (35,6%). Oltre un giovane meridionale su cinque (21,8%; 15% nel Centro-nord) si dice insicuro verso il proprio futuro. L'insicurezza aumenta nelle regioni con basso Pil pro-capite e alta disoccupazione: è minima in Piemonte (12,3%) e Veneto (14,9%), massima in Sicilia (27,9%), Calabria (25,1%), Sardegna (22%) e Puglia (21,6%). 

La mancanza di certezze incide anche sulla propensione a lasciare la propria famiglia di origine e a metter su famiglia. Nel Mezzogiorno il 71,5% dei 18-34enni nel 2022 vive in famiglia (64,3% nel Nord Italia; 49,4% nell'Ue), con un forte aumento rispetto al 2001 (62,2%). La propensione alla nuzialità e alla procreazione si riducono invece un po' ovunque in Italia: nel 2021, l'età media al primo matrimonio degli italiani è di circa 36 anni per lo sposo (32 nel 2004) e 33 per la sposa (29 nel 2004); quella della prima procreazione per le donne è in continuo aumento (32,4 anni contro 30,5 nel 2001). Ciò - rileva l'Istat - rischia di interferire con il ciclo biologico della fertilità e di alimentare l'"inverno demografico".