Enti locali, sindacati, imprenditori, Autorità di sistema portuale dei Mari Tirreno meridionale e Ionio e i due principali operatori dello scalo, Medcenter Container Terminal S.p.A. ed Automar S.p.A, hanno diffuso un manifesto per la difesa del porto di Gioia Tauro che sarà alla base di un flash mob promosso per il 16 ottobre prossimo nel porto di Gioia Tauro, a cui parteciperanno i lavoratori portuali, le istituzioni regionali, i sindaci calabresi, le sigle sindacali, le imprese portuali, le associazioni di categoria e l’intera comunità portuale per presentare uno striscione dal titolo “Il porto non si ferma” e per attirare l’attenzione a livello nazionale ed europeo sul rischio chiusura del porto di Gioia Tauro a causa della direttiva europea 2023/959 ETS.

Il manifesto è stato elaborato nel corso della riunione organizzativa che si è tenuta ieri su impulso del sindaco Alessio, del presidente dell'Autorità portuale Agostinelli e dell'imprenditore De Masi. Al centro del documento la direttiva Ue sulle emissioni che penalizzerebbe lo scalo. «Chiuderà Gioia Tauro? Riusciranno le istituzioni e la politica italiana - si legge nel manifesto - a far cambiare tempistica alla UE che, nell’ambito del pacchetto “Fit For 55” che impone la riduzione delle emissioni in atmosfera anche in ambito marittimo, ha varato la Direttiva n. 2023/959 ETS, che impone agli armatori di compensare annualmente le emissioni inquinanti prodotte. È questo - si fa rilevare - l’interrogativo che attanaglia oggi coloro che ritengono che Gioia Tauro possa nel volgere di qualche mese essere a rischio chiusura, o quanto meno a rischio di una drastica riduzione di occupazione e investimenti, causa il nuovo sistema di tassazione che potrebbe verosimilmente indurre le linee di navigazione a spostare i traffici in scali extra-europei».

Secondo gli estensori del manifesto «il pericolo è veramente imminente, le avvisaglie le stiamo già leggendo sulla stampa di settore e la mancanza di concreta sensibilità su questo tema preoccupa. Il porto di Gioia Tauro, il più grande d’Italia per transhipment che quest’anno si appresterà a segnare il record della movimentazione dei container nella sua storia breve ma intensa, potrebbe ritornare ad essere un deserto, con le gru smontate e le navi dirette verso scali competitors che si trovano nei paesi del Nord Africa, dove la direttiva UE non verrebbe applicata o si applicherebbe solo in parte, in ogni caso garantendo ai porti extra-europei un vantaggio competitivo notevole. Difendere l’ambiente dai cambiamenti climatici in corso - si sottolinea -  è un dovere delle Nazioni e degli uomini, ma occorre farlo tutti insieme riavviando il nastro delle azioni da intraprendere con la massima responsabilità. Perché non si possono accettare drastici provvedimenti in Europa per inquinare meno e nessun provvedimento negli scali direttamente concorrenti a quelli europei, ubicati sull’altra sponda del bacino del Mediterraneo».

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Accettare tutto ciò, è scritto, «significherebbe non solo non raggiungere gli obiettivi prefissati in Europa, ma chiudere gli occhi davanti a provvedimenti illogici e irrazionali, con conseguenze devastanti sul piano economico, occupazionale e soprattutto su quello delle potenzialità logistiche dell’Italia e dell’Europa. Quello che rappresenta il porto di Gioia Tauro oggi è sotto gli occhi di tutti: quasi 4 mila addetti tra diretto ed indotto, quasi il 50% del Pil privato calabrese, la più grande piattaforma logistica dell’Italia e dell’Europa meridionale, uno dei più grandi hub portuali del Mediterraneo. Penalizzare gravemente un porto in pieno rilancio come Gioia Tauro significherebbe affossare la Calabria ed il Mezzogiorno ed indebolire il Paese intero. E sosteniamo come su questa drammatica prospettiva l’attenzione debba rimanere altissima. Ecco perché lanciamo un nuovo appello al governo nazionale, al presidente della Regione, che si è espresso tra l’altro con estrema chiarezza, al Consiglio regionale calabrese, a tutte le istituzioni calabresi, alle organizzazioni sindacali, ai sindaci, alle organizzazioni di categoria, ai lavoratori che al porto vi lavorano, al sistema delle imprese ad aumentare l’impegno per scongiurare la fine di un’infrastruttura strategica per il futuro della regione dove si registra la percentuale di disoccupazione più alta d’Italia, con le ferite dell’emigrazione che vede  migliaia di giovani andare via ogni anno da questa terra. Fughe per bisogno e per necessità che impoveriscono la vita e l’esistenza dei nostri territori».

Viene lanciato un appello alla deputazione parlamentare, ai sindacati, agli uomini di cultura, agli economisti, «affinché ognuno nel proprio ruolo intensifichi l’impegno per la difesa del porto di Gioia Tauro e per una difesa più organica e credibile dell’ambiente. Noi, davanti a questi scenari apocalittici non possiamo tirarci indietro nel ricercare soluzioni migliori, nel rispetto della transizione energetica, che peraltro non mancano: l’Autorità di Sistema Portuale le ha sommariamente indicate al Governo ed alle Istituzioni europee. Ad esempio - si legge infine -, dare le medesime regole ai porti mediterranei che giocano la medesima partita, avendo la medesima vocazione al transhipment! Oppure la previsione per i porti europei a vocazione transhipment, ma anche per i traghetti di continuità territoriale, di meccanismi di tutela in deroga alla Direttiva che prevedano una detassazione ai settori esposti al rischio di delocalizzazione».