Il commissario dell'Autorità Portuale dello Stretto Ranieri conferma l’avanzamento dell’iter: obiettivo la sua rifunzionalizzazione guardando a turismo, retroporto ed area (oggi cimitero) industriale. Nella speranza dell'arrivo di una nuova "Baker Hughes" pronta a investire
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«Per il porto di Saline Joniche sono in corso le fasi di progettazione per una prima apertura operativa: si tratta di una striscia di circa 70 metri, necessaria a renderlo funzionale. L’intervento prevede anche il rifacimento del molo di sopraflutto e la realizzazione di un pennello-trappola per garantire - o quantomeno ridurre al minimo - il rischio di insabbiamento. Si tratta di un intervento abbastanza impegnativo da un punto di vista economico».
Il contrammiraglio Antonio Ranieri, commissario straordinario dell’Autorità di sistema portuale dello Stretto, lo ha dichiarato in occasione dell’incontro dedicato al Masterplan per l’area dello Stretto, tenutosi a Reggio lo scorso 25 marzo. La riattivazione del porto di Saline, inserita tra gli obiettivi strategici dell'ente, torna dunque al centro del dibattito con un aggiornamento che conferma quanto delineato negli ultimi mesi: si lavora alla progettazione esecutiva, passaggio tecnico propedeutico alla gara d’appalto.
Che sia davvero la volta buona? Nato negli anni Settanta nell’ambito del cosiddetto “Pacchetto Colombo”, il porto di Saline Joniche era stato pensato come snodo cruciale per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, in particolare per servire l’impianto mai entrato in produzione della Liquichimica, uno dei più grandi esempi di cimitero industriale del sud Italia. L’infrastruttura, imponente ma mai entrata davvero in funzione a causa della sua insabbiatura che l’ha reso inagibile, è rimasta per decenni un simbolo di incompiutezza, ma anche una risorsa potenziale rimasta intatta lungo la costa ionica reggina. Oggi, a cinquant’anni di distanza, torna con forza nel dibattito pubblico e istituzionale.
«Siamo nella fase di progettazione, che dovrà poi diventare esecutiva per poter procedere alla gara. L’obiettivo è una copertura operativa parziale. Prima, però, dobbiamo concludere la progettazione esecutiva e successivamente andare in gara. Sono in corso anche le approvazioni ambientali, poiché si tratta di un intervento che include dragaggi. Il dragaggio sarà seguito – per quanto possibile – dal riutilizzo delle sabbie rimosse sui litorali adiacenti. Siamo in linea con i tempi. Tuttavia, gli stessi sono lunghi a causa della complessità sia delle attività di progettazione, sia delle autorizzazioni ambientali, che richiedono una valutazione a livello nazionale».
Una visione che trova conferma nel progetto di fattibilità redatto dalla società Wavenergy, oggetto della conferenza dei servizi decisoria svoltasi nel 2023, con un investimento stimato intorno ai 10 milioni di euro. Gli interventi contemplati erano e sono funzionali al parziale ripristino dell’accessibilità del porto, con l'obiettivo di renderlo operativo inizialmente per il diporto nautico, con una previsione tra i 100 e i 150 posti.
Ecco gli interventi, ribaditi da Ranieri: dragaggio del fondale, messa in sicurezza della testata del molo di sopraflutto, realizzazione del pennello-trappola e interventi sull’impianto elettrico. Tutti elementi tecnici pensati per affrontare uno dei nodi strutturali dell’infrastruttura: l’insabbiamento del bacino portuale, che secondo uno studio dell’Università Mediterranea dipenderebbe da una gestione inefficace dei sedimenti costieri e non da errore progettuale.
Interventi che, nel loro insieme, non sono semplici opere di manutenzione, ma costituiscono la base tecnica per ridare vita a un’infrastruttura abbandonata da oltre un decennio, la cui riattivazione richiede oggi un coordinamento multilivello, con al centro anche il Ministero dell’Ambiente, impegnato nella valutazione degli effetti dei dragaggi.
A confermare la centralità strategica del sito è anche quanto accaduto negli scorsi mesi quando, a seguito del dietrofront della multinazionale Baker Hughes da un investimento previsto a Corigliano-Rossano, venne proposto Saline Joniche come sede alternativa per l’insediamento industriale. L’ipotesi non si è mai tradotta purtroppo in un passaggio operativo, ma ha acceso un faro sulla valenza infrastrutturale e logistica del porto, capace di attrarre l’interesse di attori internazionali, a patto che le condizioni tecniche lo rendano agibile.
Oggi il porto resta chiuso, ma il percorso amministrativo tracciato si conferma attivo. Le tempistiche restano condizionate dalla necessità di coordinare più livelli decisionali, soprattutto in materia ambientale. Il rilancio di Saline, mai abbandonato nei piani dell’Autorità portuale, sembra dunque mantenere il proprio orizzonte. La prospettiva di una riattivazione graduale, limitata ma concreta, è tornata ad avere voce ufficiale.
E in un territorio dove la parola "futuro" spesso resta astratta, rimuovere anche solo settanta metri di sabbia può voler dire molto: più di quanto suggerisca la misura, più di quanto abbiano saputo fare in tanti anni le promesse mancate e le occasioni perdute per l’Area Grecanica.