Alla vigilia della riunione ministeriale per l'attribuzione della prima Docg calabrese al Cirò Classico, la sensazione che sia finito un digiuno durato sin troppo a lungo è palpabile.

Il 16 novembre alle ore 17, la sala Borgo Saverona di Cirò Marina ospiterà l'accertamento pubblico fondamentale per stabilire il riconoscimento ufficiale della denominazione “Docg Doc Cirò Classico". Davanti ai funzionari del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e dai colleghi del Comitato Vini Dop e Igp si procederà quindi all'accertamento pubblico, secondo quanto previsto dal Decreto Ministeriale del 6 dicembre 2021. A dare l'annuncio, il presidente del Consorzio Raffaele Librandi.

Dal museo alla produzione di qualità

Al netto delle burocrazie, che i tempi fossero maturi per ottenere il massimo riconoscimento qualitativo per un vino italiano, la Denominazione d'Origine Controllata e Garantita lo si avvertiva ormai da tempo: la Calabria enologica è un museo a cielo aperto, ma se della sua storia si conosceva tutto, erano paradossalmente proprio i suoi vini ad essere sin troppo sottovalutati.

Gli ultimi anni avevano coinciso sia con l'affermazione di tanti piccoli e grandi produttori orientati verso una produzione di qualità, sia con la crescita esponenziale del plauso per vini e vitigni regionali.

Si chiude un cerchio

E se da Cirò era partito il primo movimento di “rivolta” alle politiche quantitative e all'industrializzazione con la fuoriuscita dei Cirò Boys dai consorzi, oggi ci sono anche loro a rivendicare il felice esito del cambiamento. In un cerchio che si chiude, è proprio a Cirò, il più strutturato dei terroir regionali, che arriva la pietra miliare, ufficiale, per la vitivinicoltura d'eccellenza: la Docg.

Il background

Dietro l'accertamento di giovedì 16 ci sono centinaia di mani che hanno potato, di conti in banca che hanno sofferto, di contadini orgogliosi che hanno rinunciato a soldi facili, di terra strappata al degrado e all'abbandono, di radici antiche rivitalizzate, e tanto, tanto coraggio.

E soprattutto un substrato di storia millenaria, di biodiversità unica, di un terroir generoso e poliedrico. In una regione che produce ancora troppo poco (117 mila ettolitri, pari allo 0,23% della produzione nazionale), la valorizzazione del comparto sta passando dall'innalzamento degli standard qualitativi. E questo non può che far ben sperare.