Per ora l’emorragia di studenti non si vede (e l’Unical è addirittura in crescita), ma i numeri di Svimez e Anvur mostrano uno scenario drammatico. I suggerimenti per non sparire: puntare su cooperazione, intese internazionali e formazione post-laurea
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Laurea triennale in Calabria e trasferimento al Nord per un master o per la specialistica. Centinaia di chilometri e centinaia (forse migliaia) di storie tutte uguali: studenti persi dalle università del Sud Italia. Sono i numeri di un esodo: un altro pezzo di quella fuga dal Sud che LaC News24 racconta da giorni assieme alle storie di chi è andato via.
Il primo campanello d’allarme è suonato con la pubblicazione del rapporto dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur). Nel 2011 gli studenti iscritti in un ateneo meridionale erano più di 600mila su un totale nazionale ai 1,7 milioni tra università pubbliche e private. Dieci anni dopo, il totale degli iscritti sfiora i 2 milioni ma l’aumento è trascinato dagli atenei settentrionali e dalle università online. La quota delle università pubbliche meridionale è scesa di 100mila unità: Palermo, Bari e Napoli hanno perso tra 9mila e 15mila studenti ciascuno. Sono tre istantanee di una desertificazione che, per il momento, non ha investito la Calabria. L’Unical è il grande ateneo del Sud in maggiore crescita nel quadriennio: registra un +23% di iscritti rispetto al periodo pre-pandemia e negli ultimi quattro anni è sempre cresciuta.
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Fuga dal Sud, le previsioni (drammatiche) di Svimez
L’elaborazione dei dati Svimez, però, allarga lo scenario e offre numeri drammatici per il Meridione. Senza politiche attive di intervento, entro il 2014 potrebbe verificarsi un calo ulteriore del 27% degli iscritti al Sud. Questione di attrattività, ma soltanto in parte: sarà il calo demografico a colpire gli atenei meridionali. Altra proiezione pubblicata nell’ultimo rapporto dello Svimez che fotografa presente e futuro del Mezzogiorno: da qui al 2080 la popolazione a Sud del Lazio scenderà di 8 milioni di residenti: il Meridione avrà quindi quasi la metà degli abitanti di oggi. Negli ultimi venti anni, invece, i residenti in meno sono già stati 1,1 milioni. Miscela esplosiva sintetizzata in una frase da Daniele Livon, direttore dell’Anvur: «O riusciamo a compensare lo spopolamento, o per alcune università diventerà difficile restare aperte».
Nature.com rincara la dose. Alla riduzione del bacino di studenti potenziali si aggiunge il nuovo atteggiamento dei diplomati meridionali: sempre meno studenti passano all’università, il tasso è inferiore al 60%.
Le elaborazioni sono sconfortanti per i tre atenei calabresi: la previsione per il 2031 è di -8,3% iscritti per la Magna Graecia di Catanzaro; -7,3% di iscritti per l’Unical; -6,8% per la Mediterranea. Emorragia ancora più ampia se proiettata al 2041: -25,4% nel capoluogo; -24.3% a Cosenza; -24% a Reggio Calabria.
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L’ultimo rapporto Svimez mette nero su bianco l’inizio della tendenza: «Un numero crescente di iscritti universitari residenti nel Mezzogiorno tende a preferire le Università del Centro-Nord. Gli studenti meridionali che si trasferiscono per motivi di studio universitario sono passati dal 20% del 2010 al 27% del 2021. Questo fenomeno non è stato controbilanciato da un analogo flusso di iscritti provenienti dal Centro-Nord. Le Università del Mezzogiorno hanno visto contrarsi nell’ultimo triennio il numero di iscritti complessivamente del 12% rispetto al primo triennio degli anni Dieci, mentre nelle Università del Centro e del Nord gli iscritti sono complessivamente cresciuti del 2% e dell’8%».
Le proposte per evitare la fuga dal Sud
Analisi e proposta. Per Svimez il destino non è già segnato, a patto che ci si muova su alcune direttrici. La prima: «incrementare l’attrattività degli atenei periferici soprattutto attraverso l’attivazione di protocolli di intesa con atenei internazionali volti ad incrementare il numero di studenti stranieri da altri paesi del Mediterraneo o da altrove». Seconda idea: «puntare a forme di collaborazione e cooperazione fra atenei, secondo una struttura coerente con le specializzazioni e le vocazioni delle diverse economie locali». La terza idea passa, per Svimez, da un ripensamento del «ruolo stesso dell’Università che faccia emergere la trasformazione sociologica in atto, con uno spostamento del suo core business dai corsi di laurea ai corsi post-laurea e “professionalizzanti” o finalizzati ad ambiti di ricerca». Davanti all’inesorabile invecchiamento della popolazione, «è possibile pensare che le università possano essere luoghi frequentati non esclusivamente (o quasi) da giovani ma anche da quelle fasce di popolazione più adulte che possono ricercarvi una diversa formazione. Far emergere questa trasformazione significherebbe evitare il rischio che le Università si trasformino in centri di formazione al ribasso». Piccoli e grandi accorgimenti di vitale importanza: il rischio è quello di sparire.