Fiori appassiti, piante stagionali rimaste senza mercato, e nel frattempo tasse, tributi, fornitori da pagare. Il settore del vivaismo si affaccia alla fase 3 con addosso le ferite profonde di un lockdown che ha portato ad un’emorragia economica non indifferente. Siamo stati sulla statale 18 a Lamezia Terme lungo quell’arteria che congiunge la quarta città della Calabria con Pizzo.

 

Qui il settore vivaistico è florido, le aziende si susseguono una dopo l’altra. Ma il fermo, quella chiusura forzata durata due mesi a causa della pandemia da Coronavirus, sta mettendo a dura prova il settore e gli aiuti dello Stato ben poco possono. Mille e duecento euro in tutto quanto il governo ha dato agli imprenditori, una cifra che non copre nemmeno, ci spiega Aldo Cosentino, titolare di Vivai Lamezia, le spese di luce mensili.

 

Mesi clou quelli che hanno visto l’Italia chiusa in casa, che hanno coinciso con il range stagionale in cui c’era la massima produzione, piante che non sono state vendute, andate al macero. E nel frattempo f24 che continuavano ad arrivare. Poi la riapertura dei vivai in concomitanza con il prolungarsi della quarantena, una beffa. Da fine aprile le cose hanno iniziato a ripartire, ma il fermo, ci spiega Cosentino, è stato troppo lungo.

 

Le vendite sono ripartite da quindici giorni, troppo poco per riuscire a cicatrizzare la perdita economica e i danni che si sono creati. Ci troviamo nella stessa area colpita gravemente dal maltempo ormai da due autunni consecutivi. A novembre la copertura della serre è stata divelta, le coltivazioni sono andate in malora, passando da una temperatura calda ad una fredda e all’aperto. Le piante in pieno rigoglio vegetativo non hanno retto. «Si ha bisogno di liquidità – ci spiega Cosentino - ma anche di volontà e della partecipazione e delle risposte delle persone».