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«A volte riusciamo a sfondare il tetto di cristallo, quello che fa accedere ai primi gradini nella scala del comando. Ma oltre quel confine troppo spesso troviamo tetti di pietra, quasi impossibili da penetrare». Angela Robbe, 46 anni, presidente di Legacoop Calabria e membro della presidenza nazionale da febbraio, usa una metafora per rendere l’idea di quanto sia difficile per una donna di Calabria arrivare a occupare le postazioni che contano. Entrare nella stanza dei bottoni è ancora un gioco da maschi, che segue regole e rituali in cui le donne sono a disagio.
«Tra uomini esiste una complicità che va al di là dei formali rapporti istituzionali o lavorativi - spiega la dirigente -, una capacità di relazione che noi donne non abbiamo. E questo apre molte porte, riduce le distanze e consente di accedere più facilmente ai livelli di comando superiori. Il risultato è che spesso noi donne, quando occupiamo ruoli di responsabilità, ci sentiamo isolate. Una solitudine che deriva certo dal numero esiguo di presenze femminili nelle postazioni più alte, ma anche dalla nostra incapacità di fare rete, di condividere gli stessi interessi, di utilizzare in un certo senso gli stessi strumenti di relazione che usano gli uomini».
Originaria della Basilicata, ma da 20 anni a Catanzaro, sposata, con una figlia di 16 anni, è una delle poche donne di potere della Calabria, anche se lei non si inquadra in questi termini.
«Non ho mai pensato al potere come a un obiettivo - dice -, anche perché il mio approccio lavorativo è completamente diverso dal classico metodo apicale. Mi piace coinvolgere chi lavora con me e voglio che ci sia la massima partecipazione nelle decisioni da prendere. Da parte degli uomini, invece, c’è un’abitudine al comando che li fa essere più centralistici, senza interpellare gli altri. Forse perché credono che mettere in atto processi maggiormente democratici screditerebbe la loro autorità. Io, invece, non la penso così. Sono convinta che la condivisione rappresenti una risorsa importante sempre».
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Un metodo dettato anche dal fatto che nell’ambito della Lega delle cooperative la sua è una carica elettiva, cosa che rivendica con orgoglio: «Mi hanno scelto, una ragione ci sarà».
Anche se a volte le motivazioni che dettano la scelta di una donna al comando all’inizio non sono tanto gratificanti.
«Spesso alle donne si affidano i casi impossibili che si considerano quasi persi - racconta -, le grane di cui nessuno vuole farsi carico. È una cosa, ad esempio, che avviene di frequente nell’imprenditoria. Conosco molte donne che hanno fatto strada sostenendo questo esame durissimo e hanno sempre avuto successo. La mia può sembrare una convinzione legata a ideologie di genere, ma è una pura costatazione. Non sono mai stata femminista. Quando a 26 anni ero consigliere comunale nel mio Comune e presidente della commissione pari opportunità, non credevo neppure nelle quote rosa. Mi sembravano un’offesa per le donne. Oggi invece ho cambiato radicalmente idea: le quote servono per non doverne avere più bisogno domani, finalmente. Ma questo non vuol dire essere femministe. Significa ammettere che nella nostra società ci sono storture da raddrizzare, ostacoli da rimuovere affinché le donne possano realizzarsi completamente seguendo le proprie ambizioni».
Un obiettivo che spesso si scontra non soltanto con gli stereotipi culturali, ma soprattutto con la mancanza di servizi pubblici.
«Senza l’aiuto della rete familiare le donne non potrebbero fare molto - conferma Robbe -. E quando questa rete non c’è, quando non ci sono parenti che possono darti una mano, servono risorse economiche per asili nido, baby sitter e aiuto domestico, che non tutti si possono permettere. Ricordo che quando ero in procinto di avere mia figlia, una collega anche lei incinta suggerì che entrambe optassimo per il part time, una scelta che sarebbe stata definitiva perché poi è praticamente impossibile che ti consentano di tornare al tempo pieno. Alla fine non ho accettato. Che esempio avrei dato a mia figlia oggi adolescente? Il messaggio implicito sarebbe stato che per essere madre avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa».
È quello che però succede ancora a troppe donne, cioè fare scelte obbligate mettendo sui piatti della bilancia la famiglia e la carriera.
«È questo che dobbiamo contrastare - ribadisce - offrendo servizi all’altezza, anche cose che apparentemente non c’entrano nulla con l’emancipazione femminile. Pensiamo ai trasporti pubblici. Qui dove vivo, a Catanzaro, non funzionano e se un figlio deve spostarsi per motivi di svago o di studio un genitore lo deve accompagnare e andare a prendere in auto. Questo sottrae tempo, limita le possibilità. La Calabria ha ancora molta strada da fare, ma sono certa che se venissero rimossi gli ostacoli che impediscono alle donne di dare il proprio pieno contributo alla crescita economica, staremmo tutti molto meglio».
Se le pari opportunità sono ancora un obiettivo generico a livello nazionale, al Sud restano una priorità più stringente.
«In Calabria ci sono donne straordinarie, che meritano spazio e possibilità - conclude Robbe -. Di me dicono che ho un caratteraccio, perché quando una donna è decisa e motivata non si dice semplicemente che ha un carattere forte, come invece si fa più benevolmente per gli uomini. Bisogna partire da questa falsa percezione delle cose per cambiare davvero la situazione».
Enrico De Girolamo