A tanto ammonta la perdita di valore di obbligazioni, titoli di Stato e azioni di Borsa in 9 mesi. Chi non ha ceduto al panico svendendo ora conta sulla pace con Bruxelles e sulla risalita degli indici
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«Non ci impicchiamo a uno zero virgola». Sono passati 20 giorni da quando Matteo Salvini ha pronunciato queste parole cedendo alla pressione dello spread e aprendo alla trattativa con la Ue. Era la prima prima volta che si aggiustava il tiro sull’intransigenza del governo italiano che sino a quel momento aveva giurato e spergiurato che non si sarebbe mosso di un millimetro da quel 2,4 % di rapporto deficit/Pil che era stato inserito nel Def con tanto di “balconata” Cinquestelle per festeggiare la manovra prossima ventura.
Alla fine, il cappio della procedura di infrazione, la prima nella storia dell’Unione europea annunciata da Bruxelles per uno Stato membro, è stato allentato grazie alla marcia indietro di Palazzo Chigi, anche se manca ancora il sigillo definitivo all’accordo raggiunto tra Juncker e il premier Conte.
Il nuovo numerino salvacollo è 2,04 % dove è proprio quello zerovirgola a fare una differenza sostanziale stimata intorno ai 6-7 miliardi di euro in meno di debiti da iscrivere nella colonna in rosso. Ancora poco chiare le conseguenze, ma pare ormai certo che occorrerà ridimensionare - e non di poco - la portata dei provvedimenti bandiera gialloverde, cioè reddito di cittadinanza e quota 100. In attesa che la Legge di bilancio, ora al Senato, esca dalla dimensione squisitamente contabile e si traduca finalmente in “cosa fare, come farlo e quando farlo”, sono ancora i numeri a tenere banco.
E fanno impressione quelli della Fondazione David Hume, che dal 2011 produce analisi sul sistema economico e finanziario italiano. Secondo gli esperti dell’istituto, sarebbero 170 i miliardi di euro “persi” dalle elezioni sino ad una settimana fa nei tre mercati principali: titoli di Stato, obbligazioni e titoli azionari scambiati in Borsa. Cifra già iperbolica che raggiunge addirittura quota 244 miliardi di euro se si aggiunge al computo il valore dei titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia e dagli investitori esteri. Ciò non vuol dire che tutti questi soldi abbiano definitivamente preso il volo, ma che il deprezzamento dei titoli in portafoglio ha raggiunto questi livelli. Ecco perché si parla di perdite “virtuali”. In altre parole, chi durante la tempesta non si è fatto prendere dal panico e non ha (s)venduto, può ancora sperare di veder risalire il valore dei propri investimenti. Ed è ciò che sta succedendo grazie proprio all’inversione di rotta del Governo, che sembra aver rinunciato al muro contro muro nel confronto con la Ue.
Tenendo fuori i cosiddetti investitori istituzionali e limitando l’analisi alle famiglie e imprese, la Fondazione ha calcolato una perdita di valore dei portafogli dalla data del voto di marzo pari a 122,4 miliardi di euro, di cui 90,7 riferiti alle prime e i restanti 31,7 alle aziende.
«Il calcolo – spiegano gli analisti - è effettuato considerando esclusivamente quella parte della ricchezza finanziaria di famiglie e imprese che è più sensibile alle fluttuazioni di mercato, in particolare titoli del debito pubblico, obbligazioni, quote di fondi comuni, azioni e altre partecipazioni (incluse le società non quotate). Sono invece esclusi i depositi (bancari e postali), i titoli emessi da soggetti esteri, e varie altre forme di ricchezza più resistenti alle fluttuazioni di mercato».
È interessante notare, inoltre, che dei complessivi 244 miliardi di euro di deprezzamento, ben 151 si sono accumulati in appena 3 mesi, nel periodo di maggiore incertezza che è intercorso dalle elezioni di marzo sino alla formazione del governo, il 31 maggio, ad ennesima dimostrazione che il mercato ha bisogno di punti di riferimento saldi per macinare guadagni. Al contrario, in quei 90 giorni di discussioni e ipotesi sul nuovo esecutivo che tardava a vedere la luce, i dubbi e il timore di nuove elezioni trascinarono verso il basso il valore di titoli di Stato, obbligazioni e azioni.