I crediti del Superbonus incagliati rischiano di tirare a fondo oltre 30mila imprese edili e dell'indotto, con la possibile perdita di 150mila posti di lavoro nella filiera delle costruzioni. L'allarme lanciato dalla Cna qualche giorno fa è diventato il canovaccio di una crisi spaventosa che sta investendo il settore edile dopo l'euforia degli incentivi promossi dal Governo per rilanciare il comparto. Cna, che sollecita il Governo a trovare rapidamente una soluzione, calcola in 2,6 miliardi gli sconti riconosciuti ma non monetizzati, con oltre 60mila imprese artigiane che si trovano con cassetto fiscale pieno di crediti ma senza liquidità e con impatti gravissimi.

L'indagine di Cna

Il 48,6% di un campione formato da circa 2mila imprese parla di rischio fallimento, mentre il 68,4% prospetta il blocco dei cantieri attivati. L'effetto negativo è a cascata. Per non essere schiacciate dalla mancata cessione dei crediti, quasi un'impresa su due sta pagando in ritardo i fornitori, il 30,6% rinvia tasse e imposte e una su cinque non riesce a pagare i collaboratori.

Il problema maggiore è quello della cessione dello sconto riconosciuto in fattura. Il 47,2% delle imprese dichiara di non trovare soggetti disposti ad acquisire i crediti mentre il 34,4% lamenta tempi di accettazione dei documenti contrattuali eccessivamente lunghi. Per la cessione dei crediti, le imprese della filiera si sono rivolte principalmente alle banche (63,7%), a seguire Poste (22,6%), poi società di intermediazione finanziaria (5,1%).

L'appello di Ance a Palazzo Chigi

Al grido d'allarme delle aziende artigiane si è aggiunto l'appello rivolto a Palazzo Chigi dell'Associazione nazionale costruttori edili (Ance). «Auspico a breve una convocazione dal Governo a cui ho chiesto un confronto per una exit strategy. È necessario capire che cosa si vuole fare perché in questo momento i segnali sono contraddittori», ha detto Federica Brancaccio, presidente nazionale Ance, sulla questione del superbonus: «Le banche dicono di non avere più plafond. Credo che alcune lo abbiano ancora ma vivono nell'incertezza. Il dl aiuti non si sa come sarà convertito e dunque si deve immaginare con il Governo una strategia di uscita a medio e lungo periodo, ma sicuramente i contratti in corso e i crediti già nei cassetti fiscali non possono essere abbandonati».

«Cambiare le regole in corsa ha fatto saltare tutto»

«Il problema del bonus è stato cambiare le regole in corsa – ha sottolineato Brancaccio -. Questa situazione significa rischiare di nuovo l'implosione del sistema. È vero che questa misura ha un costo ma è anche vero che il fallimento di tante imprese forse è addirittura superiore». La leader nazionale dei costruttori ha evidenziato che «la misura era nata per risollevare il settore che veniva da 12 anni di crisi terribile e anche con un obiettivo più di lunga visione: riqualificare il patrimonio immobiliare». «Di conseguenza - ha proseguito Brancaccio - le imprese hanno cominciato a strutturarsi dal 2020 in poi, ma poi da novembre con il cambio delle regole in corsa, che era necessario per il bonus facciate così come avevamo detto fin dall'inizio, si è bloccata la monetizzazione dei crediti».

Le possibili soluzioni al vaglio del Parlamento

Correre ai ripari non è facile, ma il Parlamento potrebbe intervenire già in sede di conversione in legge del decreto Aiuti, attualmente in discussione in commissione Attività Produttive della Camera. Secondo una serie di indiscrezioni, una delle soluzioni prospettate è quella di consentire alle banche di utilizzare i crediti d’imposta acquisiti sui lavori 2021 in eccesso rispetto alla capienza fiscale fino alla fine del 2022, spalmandoli così su due anni fiscali. In questo modo, le banche – che hanno ormai raggiunto la capienza fiscale necessaria per smaltire i crediti 2021 – potrebbero riprendere a liquidare i vecchi crediti e accettarne di nuovi.

Il Legislatore sta anche valutando la possibilità di consentire a banche e imprese assicurative di utilizzare i crediti non ancora ceduti a fine 2022, per acquistare i Btp che verranno collocati nel 2023, sottoscrivendo nuove emissioni dei titoli di Stato con scadenza non inferiore ai dieci anni.

«Davanti a norme incerte e continui stop and go – ha spiegato Cna lanciando l'allarme sulle circa 30mila imprese artigiane a rischio fallimento - gli intermediari finanziari hanno bloccato gli acquisti e ad oggi i crediti in attesa di accettazione superano i 5 miliardi e di questi circa 4 miliardi si riferiscono a prime cessioni o sconti in fattura. Occorre ricordare che attraverso lo sconto in fattura l'impresa ha anticipato per conto dello Stato un beneficio al cliente, facendo affidamento sulla possibilità, prevista dalla legge, di recuperare il valore della prestazione attraverso la cessione a terzi. Un quadro molto preoccupante che deve sollecitare un intervento straordinario da parte dello Stato per scongiurare una gravissima crisi economica e sociale».