INTERVISTA | Il commissario straordinario del consorzio Fernando Caldiero ricostruisce le cause del default e sollecita risposte legislative: «Serve una norma che tuteli le funzioni e i lavoratori». Spese folli e bilanci colabrodo hanno determinato il fallimento: «Il Progetto Marocco? Buona idea, ma l’abbiamo sospeso». Lunedì l'incontro con il governatore Oliverio alla Cittadella
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«Ce la sto mettendo tutta, ma non è per niente facile venirne a capo». Ferdinando Caldiero, commercialista di Cetraro specializzato in procedure concorsuali, guida il Consorzio regionale delle attività produttive da circa due mesi, da quando ha preso il posto del precedente commissario straordinario, Rosaria Guzzo.
Caldiero è abituato a navigare nelle acque tempestose dei fallimenti aziendali. Forse fin troppo abituato, visti anche i numerosi incarichi di consulente dei tribunali calabresi che ha collezionato nel corso della sua carriera. Considerato molto vicino al Pd a trazione oliveriana, il fatto stesso che il governatore abbia scelto proprio lui – esperto di fallimenti – ha reso chiaro che la sorte del consorzio, nato dalla fusione delle vecchie Asi, fosse segnata.
Commissario Caldiero, a quanto ammontano i debiti del Corap?
«Dalla bozza di bilancio del 2018 agli atti dell'ente, i debiti ammontano a circa 90 milioni di euro».
Lei è alla guida del Corap da poco. C’è chi le rimprovera di essere stato messo lì per “coprire” la politica che l’ha scelto. Sta facendo davvero il possibile?
«Mi risulta difficile pensare che qualcuno ipotizzi che si possa nascondere ciò che fino ad ora è successo. Peraltro, i documenti del Corap arrivano prima alla stampa e poi sulla mia scrivania. Ho relazionato alla Regione sulle inadempienze riscontrate e sulle cause di scioglimento che si sono verificate. Sto impiegando tutte le mie energie e ci sto mettendo la necessaria passione ma non è per niente un’impresa facile».
Perché il Corap si trova oggi in questa situazione, di chi sono le colpe e quali i motivi tecnici che ne hanno determinato il default?
«La crisi finanziaria, patrimoniale ed economica del Corap affonda le sue radici nel tempo, tant’è che nel bilancio del 2016, il primo in cui si è recepita la “confusione” delle 5 Asi calabresi, si rilevano accantonamenti e sopravvenienze passive per circa 23,7 milioni di euro, per fatti ascrivibili proprio alle gestioni ante Corap».
Insomma, un destino già segnato alla nascita quello del consorzio…
«Nel bilancio 2016, il primo, si evidenziano perdite per gestioni antecedenti non inferiori a 30 milioni di euro. Inoltre, il Corap ha una perdita - per così dire strutturale - non inferiore a circa 3 milioni di euro annui. Diventa facile comprendere come si è arrivati agli oltre 40 milioni di perdita attuali, vale a dire 30 milioni provengono da gestioni ante accorpamento e circa 10 milioni dai tre anni successivi. È stato lo stesso revisore dei conti a evidenziare che le perdite derivano da lontano e lo fa in molteplici suoi verbali nei quali evidenzia come la situazione attuale sia la conseguenza dell’andamento negativo della gestione ante fusione dei consorzi, non riscontrando, tuttavia, cambi di tendenza. Basta un breve approfondimento dei dati economici sull’andamento della 5 Asi, relativamente al triennio antecedente, per cogliere con immediatezza come la gestione operativa fosse negativa per tre delle 5 Aree di sviluppo industriale e, come per due di esse (Reggio Calabria e Cosenza, ndr), il valore della produzione fosse addirittura inferiore al solo costo del lavoro».
D’accordo, tanti debiti, perdite a profusione, bilanci colabrodo. Ma il Corap non avrebbe dovuto promuovere lo sviluppo industriale e produttivo?
«Ecco, il vero problema è che il consorzio non svolge la sua vera mission».
In una situazione così compromessa, non c’è il rischio che gli impianti di depurazione gestiti dal Corap possano subire stop improvvisi?
«Non ritengo che questo possa accadere nel breve periodo anche grazie all'abnegazione dei responsabili dei siti e degli operai che mi sento ancora una volta di ringraziare per quanto fanno. Sono loro stessi a chiedere di prediligere l'acquisto dei beni e dei servizi strategici e indispensabili rispetto al pagamento dei loro stipendi».
Qualche giorno fa, con una direttiva interna, lei ha chiesto ai dirigenti di relazionare con urgenza sulle spese degli ultimi anni in materia di incarichi professionali, consulenze. Ha avuto quanto richiesto?
«Le relazioni stanno arrivando, ma ci vuole ancora un po' per un quadro completo. Ho costituito un team di lavoro e in settimana approveremo diversi atti e regolamenti, compreso il nuovo statuto».
Tra le spese che sollevano maggiori perplessità c’è anche il cosiddetto Progetto Marocco, con una sede Corap a Marrakech costata 110mila euro nel 2018. Non crede che sia davvero troppo, considerando che il consorzio ha sempre navigato in cattive acque?
«Sul Progetto Marocco, dopo aver ricostruito la vicenda, mi sono convinto del fatto che si è trattato di un'idea molto coraggiosa e lungimirante. Quella a Marrakech era una showroom, non proprio una sede. Il progetto era nato a seguito di alcuni processi che poi non si sono concretizzati, tant'è che è stato sospeso».
Ma, in concreto, quali risultati ha prodotto andare e venire dal nordafrica, a parte far allungare il conto delle spese?
«Circa 20 aziende hanno aderito a diversi bandi e sono stati siglati alcuni protocolli d'intesa. Sto comunque verificando con i dirigenti il costo effettivo dell’operazione e posso già dire che è molto più basso di quello indicato dalla stampa».
Alcuni dirigenti del Corap le rimproverano di aver cambiato idea, passando dalla richiesta di ricapitalizzazione a quella di avviare le procedure per la messa in liquidazione. Ci spiega questo cambio di strategia?
«A soli tre giorni dal mio insediamento, avvenuto il 5 agosto scorso, ho provveduto a reiterare la richiesta ai consorziati (68, compresa la Regione Calabria che controlla la maggioranza delle quote, ndr) di coperture delle perdite. Era un atto dovuto, ma constatata la mancata adesione dei consorziati ho richiesto alla Regione l’erogazione delle somme disponibili o la liquidazione dell’ente per il verificarsi di conclamate cause di scioglimento. L’ho comunicato ai dipendenti e alle organizzazioni sindacali, che mi hanno dato merito di averli coinvolti, cosa che in passato a quanto pare non è mai avvenuta».
Ma alla fine i consorziati saranno costretti a rimpinguare le casse del Corap?
«È così che dovrebbe funzionare. E per chi non vuole fare la sua parte ci sono le vie legali da adire. Anche se questa è una materia in piena evoluzione giurisprudenziale e non è escluso che i consorziati possano legittimamente rifiutarsi di ricapitalizzare».
Cosa pensa della proposta di legge del Pd nella quale si prevede la creazione di una nuova Agenzia nella quale far transitare in blocco dipendenti e patrimonio: è fattibile?
«Non mi compete commentare le proposte di legge, posso solo dire che sia necessario un intervento legislativo che colmi le lacune in tema di liquidazione dell'ente e che tuteli le funzioni del Consorzio e l’interesse tanto dei dipendenti, quanto dei creditori e dei consorziati; nonché, ed in primis, l’interesse pubblico che è all’origine dell’istituzione dell’ente».
Lunedì incontrerà Oliverio alla Cittadella. Cosa gli dirà?
«È il governatore, giustamente preoccupato, ad aver chiesto un incontro con i dipendenti. Per quanto mi riguarda ho già relazionato sullo scioglimento anticipato dell’Ente».
degirolamo@lactv.it
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