Il mondo del vino calabrese merita, al di là di approcci stereotipati e autoreferenziali, di essere conosciuto in modo attento perché, come accade del resto in tutto il Mezzogiorno d’Italia, è popolato da esperienze umane degne di grande rispetto.

Una bottiglia di vino racconta tante cose, a partire dai sogni, dalle aspettative, dagli sforzi e dai sacrifici di vitivinicoltori che hanno speso tutto se stessi, rischiando in prima persona. Quando le etichette non sono una pura azione commerciale basata sull’acquisto e sulla rivendita, ma sono il frutto sudatissimo di vere filiere agricole, ci troviamo di fronte a creazioni che ci inducono a conoscere non solo gli specifici aspetti organolettici (sapori, profumi…), ma soprattutto storie di vita. Grand Terroir® è un sistema nato per parlare di complessità, per stimolare autentici processi di sviluppo, per superare atteggiamenti superficiali, e spesso strumentali, che hanno dimostrato, numeri alla mano, tutta la loro inadeguatezza.

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Grand Terroir® mette in rete aziende, persone, territori e identità culturali, utilizzando come enzima catalizzatore la comunicazione integrata professionale. Bando quindi ai calici che roteano alla ricerca di sentori memorizzati con la stessa rapidità che si impiega nell’elencarli, e spazio al racconto impregnato di fatica, di impegno, di serietà. Dalla vigna alla bottiglia, puntando su un contatto diretto e continuo con vitivinicoltori coraggiosi e intraprendenti. Un buon vino si produce a partire da un’uva sana e di qualità, da vitigni coltivati con saggezza e perizia, senza dimenticare che l’evoluzione scientifica e tecnologica ha messo a diposizione dei vignaioli cantine attrezzate capaci di governare al meglio tutti i delicatissimi momenti della vinificazione: dalla diraspapigiatura alla macerazione, dal controllo delle temperature alle filtrazioni, dalla maturazione all’imbottigliamento.

Il concetto di “terroir”, quindi, significa senz’altro territorio, saperi agronomici, tradizioni contadine, condizioni pedoclimatiche, genetica e adattamento secolare dei vitigni, ma anche, soprattutto negli ultimi decenni, scienza e tecnologia che se ben utilizzate sono in grado di esaltare il lavoro dell’uomo più che sostituirlo o alienarlo.

In questa tappa andremo alla scoperta di tre cantine che operano in contesti diversi della regione. Il Don Raffaele è un’etichetta di punta di Baroni Capoano, cantina di Cirò Marina guidata dal talentuoso e tenace Massimiliano Capoano, sempre di più dedito anche alla sfida dell’enoturismo. Il Don Raffale è un Cirò Dop Rosso Classico Superiore Riserva, ottenuto da uve di Gaglioppo, il vitigno principe, a bacca nera, della prestigiosa area a denominazione d’origine. Anziani vigneti collinari a bassa resa di uva per ceppo - racconta Massimiliano nella sua nuova Cantinetta di Torre Melissa -, e nome dedicato a un suo avo, il Barone Raffaele, studioso di diritto, letterato e patriota.

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Il Don Raffaele nasce da uve che vengono raccolte in ottobre, e che pertanto hanno tutto il tempo di maturare su pianta raggiungendo il perfetto equilibrio tra componenti fondamentali quali zuccheri e tannini. In cantina la macerazione sulle bucce è lunga, mentre l’affinamento e la maturazione vengono effettuati, per tre anni, sia in botti di legno sia in acciaio. In attesa della definitiva approvazione della Docg Cirò, il Rosso Classico Superiore Riserva è allo stato la massima espressione del disciplinare dedicato a un territorio jonico in cui il vino si produce da millenni. Massimiliano Capoano è orgoglioso del suo Don Raffaele, e quando te ne parla si sofferma su ogni dettaglio: vino da assaggiare e da collezionare perché nel tempo continua a dare il meglio di sé. Etichetta importante che può accompagnare cibi molto saporiti e grassi della tradizione calabrese (suggerisco salumi molto stagionati a partire dal “vuccularu” o guanciale e dalla pancetta tesa), ma che può essere proposto anche come fine pasto o addirittura da meditazione.

Dalla costa del Mar Jonio ci spostiamo a quella del Tirreno, ed esattamente a Zambrone e a Porto Salvo di Vibo Valentia, per parlare del Limàni di Cantine Artese. Eccoci di fronte a un altro vitigno calabrese anch’esso a bacca nera e di grande tradizione: il Magliocco Canino. Non lo si confonda con il Magliocco Dolce che caratterizza la Dop Terre di Cosenza, e che nel Catalogo nazionale delle varietà di Vite tenuto dal Masaf è presentato anche con i sinonimi di Greco Nero, Marsigliana N., Arvino. Il Magliocco Canino del Limàni è vinificato in purezza, per cui potrete conoscerne la sua natura e la lettura che se ne dà nelle bellissime vigne coltivate sulle colline di Zambrone, di fronte alle Eolie. Giovanna Artese, e suo marito Leo, esperto vignaiolo, sono due giovani che stanno dedicando tutto se stessi alla propria cantina. Parlando con loro capisci quanto credano in un progetto che punta in grandissima parte su vitigni autoctoni calabresi quali il menzionato Magliocco Canino e il bianco Zibibbo.

La vendemmia dei grappoli dedicati al Limàni avviene con paziente approccio manuale, alla metà di settembre. Macerazione sulle bucce per circa dieci giorni a temperatura controllata, maturazione in parte in acciaio e in parte in legno. La componente tannica del Limàni è notevole, il gusto è forte, avvolgente e persistente. Giovanna consiglia di degustarlo con arrosti di carne, selvaggina e formaggi stagionati (si pensi al Pecorino del Monte Poro Dop, o anche, per mia esperienza, al Caciocavallo Silano Dop). Prenotate una visita guidata tra le vigne panoramiche del Magliocco Canino di Cantine Artese e capirete più di quanto non si possa scrivere!

Ritorniamo sulla costa jonica e facciamo tappa a Melissa, territorio calabrese limitrofo all’area del Cirò e di nobile tradizione vitivinicola tanto da aver ottenuto diversi decenni fa il riconoscimento di una specifica Dop. La famiglia Bruni produce vino dal 1901 e quindi ha alle spalle oltre un secolo di tradizioni e di saperi che si trasmettono di generazione in generazione. Mario Bruni, che oggi guida l’azienda agricola di circa 70 ettari, è discendente dell’omonimo nonno che nel 1934 produsse per la prima volta una bottiglia di vino con l’etichetta “Melissa”, presentata alla terza Mostra nazionale dell’agricoltura di Firenze, dove consegui il diploma ufficiale di qualificazione con medaglia d’oro. Mario Bruni, che tra l’altro ha molto esperienza anche nelle vesti di esportatore, crede molto nei vitigni autoctoni (Pecorello, Gaglioppo…) ma anche in quelli internazionali allevati in Calabria e in particolare tra le colline soleggiate della costa jonica crotonese (Syrah, Cabernet Sauvignon, Chardonnay…).

Come dar torto a Mario Bruni quando afferma che un vitigno internazionale coltivato in Calabria, con condizioni climatiche molto diverse rispetto ad esempio alla Francia o alla California, diventa a tutti gli effetti un “migrante” che ha pienamente assorbito il “terroir” bruzio divenendo qualcosa di unico e di irripetibile? Il Marigiù di Cantine Bruni è un vino bianco, Pecorello in purezza, che viene consigliato per apertivi e antipasti di mare, oppure da abbinare a primi e risotti conditi con salse bianche di pesce o di verdure. Credo sia ottimo anche per accompagnare degustazioni di latticini e formaggi freschi, come le ricotte bovine o ovicaprine, i primosale, gli stessi pecorini con pochissime settimane di stagionatura, oppure penso ai tipici “butirri”. Mario Bruni sta continuando a lavorare con grande entusiasmo per potenziare le attività vitivinicole di famiglia e sente un fortissimo legame con il territorio di provenienza, nonostante i suoi continui viaggi all’estero lo mettano in contatto con popolose realtà metropolitane mitteleuropee dove le contaminazioni culturali anche più estreme sono ormai realtà consolidate.