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La vicenda Gam conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, come in questo paese siano saltate tutte le coordinate, e la razionalità degli assetti dei poteri. Da Pordenone all'Ilva di Taranto, in questo paese la giustizia può determinare la politica industriale e quindi gli assetti economici di una area territoriale, e non solo.
A Rombiolo, piccolo comune in provincia di Vibo Valentia, la provincia più povera d'Italia in tutte le 'classifiche', da alcuni anni c'era una azienda che nel campo della lavorazione degli oli era riuscita a diventare leader nel mondo. 126 occupati, clienti da ogni parte del pianeta. Una azienda sanissima sotto il profilo della legalità. Eppure è bastato poco affinché qualche mese fa la errata valutazione di un giudice della sezione fallimentare di Vibo Valentia decretasse il fallimento di questa azienda.
Fabbrica chiusa, operai licenziati, e una curatela fallimentare che si è rivelata assolutamente inadeguata a gestire il patrimonio produttivo assegnatole dal giudice. Pochi giorni fa la sentenza della Corte d'Appello ha praticamente ribaltato le conclusioni del giudice di primo grado. Oggi la proprietà e il suo legale hanno tenuto una conferenza stampa per chiarire quanto successo e per ribadire la volontà di andare avanti, riattivando l'azienda, impostando un nuovo piano industriale. Su tutto ciò incombe però l'ipotesi di un ricorso in Cassazione da parte della curatela. Il nostro direttore Pasquale Motta ha intervistato l'avvocato Francesco Manduca, legale della Gam, che ci ha raccontato il calvario di questa azienda, e ci ha prospettato le insidie che può riservare il futuro.
D. Una vicenda surreale, una azienda sana ha un ‘incidente’ che diventa una catastrofe. Ce la può riassumere?
La Gam Oil è una società che si occupa di produzione metalmeccanica nell’ambito del settore petrolchimico. A seguito della restrizione delle commesse, di congiunture sfavorevoli in ambito internazionale, la recentissima crisi economica, ha determinato una situazione debitoria a fronte della quale la Gam non è fuggita, ma ha inteso avvalersi di procedure che il nostro legislatore ha messo in campo per consentire risoluzioni di crisi aziendali, risoluzioni sotto il profilo giuridico ed economico. Per questo ha richiesto un concordato preventivo in continuità, volto a risolvere la crisi economica e a risanare la situazione debitoria, e dall’altro conservare il patrimonio aziendale continuando a mantenere l’operatività, mantenendo inalterati i livelli occupazionali di oltre cento dipendenti, un numero estremamente rilevante. E’ stato presentato un piano industriale e concordatario, ambizioso e articolato, perché la Gam Oil coinvolge interessi anche di carattere internazionale, e di committenti e di produzione. Questo piano industriale è stato articolato nella realizzazione di un polo industriale in cui la Gam era il fulcro portante, e ruotavano intorno ad essa le cooperative fornitrici di lavoro, tutte partecipate dalla stessa Gam. Ciò al fine di consentire un risparmio fiscale e quindi utilizzare questo risparmio per pagare i creditori e porsi attraverso una riduzione del costo di produzione e del costo del lavoro in un modo molto più competitivo sul mercato internazionale al fine di battere la concorrenza. Questo piano industriale è stato stoppato dal tribunale con una valutazione che abbiamo ritenuto erronea e conseguentemente allo stop è stato determinato anche il fallimento. Abbiamo impugnato il fallimento e la Corte d’Appello oggi ci dice che avevamo ragione. Perché ritiene che quel concordato avesse in se quei presupposti per consentire la continuità aziendale e per consentire quantomeno la presentazione alla platea dei creditori, e per consentire agli stessi la possibilità di valutare la redditività di quel piano industriale. Ora il compito che ci ha affidato la sentenza di Appello è un compito assai gravoso, cioè il rilancio e la ripartenza aziendale con una azienda che non ha dipendenti, con una azienda le cui commesse sono tenute in freddo perché non vi era più la possibilità di un esercizio provvisorio e riteniamo che questa situazione possa essere superata solo attraverso il lavoro, che Caparra, l’amministratore delegato, mette già subito in campo attraverso sacrifici personali per ripartire e riattivare l’azienda.
D. C’è il rischio ricorso in Cassazione? La problematica potrebbe aggravarsi?
Il rischio c’è, è una facoltà della curatela fallimentare che può ricorrere in Cassazione. Riteniamo però che la sentenza argomentata della Corte d’Appello non contenga in sé questi motivi di illegittimità. Certo è che se dovesse essere proposto il ricorso, verrebbe spento l’ultimo lumicino per l’attivazione dell’impianto industriale.