Padre e figlio. Ambizione, conflitto generazionale e tanta passione nella storia della stella Michelin più inedita d'Italia. Un racconto di eccellenza e tenacia tutta calabrese
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Come si racconta l’eccellenza calabrese? A Catanzaro si racconta parlando di cibo. E lo si fa, per la precisione, a Santo Janni, dove gli Abbruzzino Senior e Junior, Antonio e Luca, con l’omonimo ristorante, sono stati i primi, in provincia, ad aver conquistato la Michelin, mantenendola sin dal 2013. Dopo aver raccolto le confessioni del figlio, nei giorni scorsi, torniamo ancora ad occuparci della famiglia di chef. E lo facciamo con Antonio. Tocca a lui, oggi, raccontare la versione di una storia d’amore e di cucina che ormai è case history del food calabrese.
Una storia bella...
Lo facciamo perché LaC ama i racconti belli. E quella della famiglia di talenti puri del catanzarese celebrata dall’Espresso al New York Times nonostante la scelta di operare nell’ultima periferia dell’impero, lo è per davvero, una storia bella. Una storia che ci piace. E tanto. C’è la passione, la Calabria dei talenti, delle vocazioni quasi mistiche, che nascono anche e soprattutto se si parla di cibo e di materia prima, quella magica delle terre tra mare e montagna, quelle che ci affondi le mani, gli occhi ed il naso in quei colori ed in quegli odori puri, e pensi che dovrebbero fare una cartina geografica olfattiva del Sud, per quanto le nostre meraviglie agroalimentari profumino tanto da ispirare i sensi.
...a lieto fine
Nelle cucine di Santo Janni c’è il riscatto, la storia bella, il lieto fine, e il sentimento. Un sentimento che trapela dall’occhio innamorato di papà Antonio mentre guarda il figlio Luca indossare la giacca la mattina, prima di entrare in cucina. E trapela dal racconto del loro lento salire in tandem verso la Michelin. La consacrazione nel panorama regionale e nazionale, che sarebbe arrivata nel 2013, proprio con l’ingresso a pieno titolo nella guida più influente del mondo.
Il mondo addosso
«Quando Luca mi ha detto che voleva prendere il mio posto in cucina, mi è caduto il mondo addosso- racconta-. Ero convinto che fosse interessato alla sala, dove aveva lavorato sin da ragazzino. E invece, no. Voleva il mio posto. Io mi sentivo ancora giovane –prosegue Abbruzzino Sr, oggi appena 55enne -. Mi ero sempre considerato a capo del locale. E tuttavia gli dissi: “vai. Quella è la cucina. Fatti le ossa». E così è stato. «Io gli ho insegnato l’Abc del mestiere. Dopodiché, lui decise autonomamente di fare degli stage. Il primo, durissimo, fu da Gennarino Esposito. In quelle settimane lo vedevo abbattuto, provato. È stata dura, per lui – confessa-. Ma quando capii che nonostante le difficoltà resisteva, e avrebbe portato tutto a termine, capii che mio figlio faceva sul serio. Che c’era la voglia, che non era un capriccio»
Stage a tre stelle
L’impressione di Antonio viene confermata dalle esperienze successive, ovvero dagli stages da Enrico Crippa, ad Alba, e da Mauro Uliassi, a Senigallia, entrambi tri - stellati. «Ma non è stato affatto semplice da gestire, quel periodo – prosegue il padre. Quando Luca tornava a Catanzaro e tornava in cucina, specie i primi tempi, era una bella lotta. Di giorno, ci scontravamo tanto. Per amore, certo, ma con grande cocciutaggine, da parte di entrambi. Sono stati giorni di tensioni. Di notte, mi tormentavo, e tormentavo mia moglie- tiene a specificare Antonio -. Notti in bianco, a cercare di capire quale fosse la strada più giusta; che faccio, gli do fiducia o no? Mi chiedevo. Fortuna, lei. È lei la vera colonna portante del ristorante. Da donna saggia qual è, mi disse: dagli corda, ma piano piano. Se lo mandi allo sbaraglio, lo bruci. E così, ho fatto».
«Antonio, lascialo andare»
Il mestiere di padre però non è semplice. «Luca all’inizio era un fiume in piena, si incazzava, lottava-racconta Antonio-. Poi ha capito che era giusto così. Che quello che dicevo, lo dicevo per lui. Ed alla fine, l’ho lasciato andare. Era pronto. Quel giorno, quel passaggio, è stato per noi tutti davvero intenso, importante». Un giorno di emozione e fiducia: «forse, il più importante della mia vita. Ed anche della sua». Una reciprocità alla base del successo degli ultimi anni. «Oggi, Luca si fida – va avanti Antonio-. Abbiamo un bellissimo rapporto, mi fa assaggiare tutto, e c’è un vero confronto. Ha capito che dobbiamo restare uniti. E che è il mio orgoglio. Mi rendo conto che di lui, in Italia, si parla tanto. Che è conosciuto, dal Trentino Alto Adige in giù. Che conoscono lui ovviamente più di quanto non conoscano me. Ma è proprio questo che mi rende fiero. Quando lo vedo lavorare così duramente ad ogni cambio di menù, quando mi fa assaggiare tredici, quattordici, quindici piatti, mi rendo conto dell’impegno che mette in tutto quello che fa».
Talento, rete, notorietà
Un impegno ormai risaputo da tutti gli addetti ai lavori dello stivale. «La sua intensità nel lavoro è proverbiale. Tutti gliela riconoscono. Siamo una famiglia che fa della collaborazione, in casa e tra i colleghi, il punto di forza. È il nostro cavallo di battaglia. Per questo, andiamo d’accordo con tutti». La realtà è che oggi, tra i giovani della ristorazione di livello, è più facile fare sistema: c’è meno chiusura rispetto a 25, 30 anni fa. E Luca, ed i suoi colleghi, costituiscono una anomalia felice nel panorama regionale: hanno creato un gruppo di amici, ed è per questo che la Calabria è venuta fuori, è esplosa. «Ci riconoscono talento e merito sia le guide che gli appassionati, gli esperti ed i turisti consapevoli. Abbiamo ospiti che vengono ogni anno da Malta, per mangiare da noi. Ed è una bella soddisfazione. I nostri ragazzi –prosegue Abbruzzino - hanno fatto quello che a noi padri non era riuscito. Hanno fatto rete. Per loro è stato anche più facile acquisire le competenze. Prima, se ti avvicinavi ai fornelli, lo chef ti cacciava a pedate. Oggi, è diverso»
Alle origini di tutto
Ma a parte il talentuoso figlio, cosa si deve dire del padre che ha fondato il ristorante con piglio fermo e mano felicissima? Antonio ricorda molto della sua infanzia. E della sensibilità di famiglia per il cibo. «Se guardo indietro, ricordo il grande intuito, la mano sapiente di mia madre, originaria di Andali, paesino della Pre Sila catanzarese… la sua capacità di dominare i sapori, la conoscenza istintiva della materia. E ancora, gli odori dell’infanzia, il disgusto di bambino per l’odore degli spaghetti spezzati con il brodo di alici…e su tutto, la passione dei mei fratelli per la cucina.
Nostalgia e famiglia
Un dono che si tramanda di padre in figlio: e tuttavia, un dono privato. Intimo. Nessuno della famiglia era ed è ristoratore. E nemmeno Antonio pensava di farne un mestiere. Si era iscritto all’alberghiero solo perché ci andavano i suoi amici, i coetanei. È lui stesso a raccontare la folgorazione. «È stato un incontro casuale, quello con i fornelli. Ero figlio di emigranti, sono cresciuto con i nonni-ricorda. Mi hanno mandato all’Alberghiero di Soverato. Ed ho subito scelto di fare il cuoco. La passione, è venuta presto: ma comunque, in seconda battuta. Ho iniziato a fare stagioni in tutta Italia. Da Courmayeur alle isole. Lì ho apprezzato le diverse gastronomie…. ed invidio quella siciliana, per la maturità e la ricchezza dei piatti simbolo che può vantare- confessa-. Una volta tornato a casa, ho sentito subito il desiderio di fare qualcosa di mio. Un luogo distante dal centro. Un locale dove la gente doveva venire appositamente. Non un posto dove si capitasse per caso. Questa scelta, che pure all’inizio mi ha spaventato è stata la nostra fortuna.
Santo Ianni: ua sfida vinta
Tutti mi dicevano che sarei stato un pazzo ad aprire a Santo Ianni, ma io ho insistito, nonostante le mille paure. Ed ho avuto ragione. In fondo, siamo pur sempre a metà strada tra il lido ed il centro di Catanzaro. Il luogo ideale per una cucina che esalti il territorio. Di livello alto, nel rispetto delle produzioni calabresi» Un intuito felice, ed una storia che gli ha dato ragione. E che fa oggi di Abbruzzino un motivo d’orgoglio per la regione, e di stimolo per l’intero comparto agroalimentare.