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Un business che supera i 16 miliardi di euro: tanto vale il giro di affari delle agromafie, delle organizzazioni criminali che gravitano e operano nel settore agroalimentare. È questo quanto emerge dal IV Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare.
Vari i metodi messi in campo per raggiungere gli obiettivi: dal racket, all’usura, all’abusivismo edilizio, insomma le organizzazioni ricorrono alle tradizionali tipologie di reato. Ma diversamente da quanto potremmo pensare, si tratta di un fenomeno che emerge e siamo in grado di documentare anche in virtù dei rigorosi controlli messi in campo.
L'intensità dell'associazionismo criminale nell'ambito del sistema agroalimentare è elevata nel Mezzogiorno, ma emerge con chiarezza come nel Centro dell'Italia il grado di penetrazione sia forte e stabile e particolarmente elevata in Abruzzo e in Umbria, in alcune zone delle Marche, nel Grossetano e nel Lazio, in particolar modo a Latina e Frosinone. Anche al Nord il fenomeno presenta un grado di penetrazione importante in Piemonte, nell'Alto lombardo, nella provincia di Venezia e nelle province romagnole lungo la Via Emilia.
In Calabria, in Sicilia e in Campania si denota un grado di controllo criminale del territorio pressoché totale, un fenomeno direttamente proporzionale alla forza delle quali la 'ndrangheta, la mafia e la camorra.
Anche il complesso delle province calabresi risulta profondamente soggetto all'associazionismo criminale, a partire da Reggio Calabria (99,4) fino alle restanti province (Vibo Valentia: 65,3;Crotone: 58,4; Catanzaro: 55,3; Cosenza: 47,3).
Su tutto il territorio nazionale sono 26.200 i terreni nelle mani di soggetti condannati in via definitiva per reati che riguardano tra l'altro l'associazione a delinquere di stampo mafioso e la contraffazione. Questo accade anche perché il processo di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa si presenta lungo e confuso, spesso non efficace e sono numerosi i casi in cui i controlli hanno rilevato che alcuni beni, anche confiscati definitivamente, sono di fatto ancora nella disponibilità dei soggetti mafiosi. Dal quarto Rapporto Agromafia, elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, emerge tra l'altro che tra i 20 ed i 25 miliardi di euro vengono sprecati per il mancato utilizzo dei beni confiscati sulla base delle stime dall'Istituto nazionale degli amministratori giudiziari (Inag).
Si stima che circa un immobile su cinque confiscato alla criminalità organizzata sia nell'agroalimentare. Il 53,5% si concentra in Sicilia, mentre la restante parte riguarda soprattutto le altre regioni a forte connotazione mafiosa, quali la Calabria (17,6%), la Puglia (9,5%) e la Campania (8%). Seguono con percentuali più contenute la Sardegna (2,3%), la Lombardia (1,6%), la Basilicata (1,5%) e il Piemonte (1,3%). Le altre regioni si attestano sotto l'1%. La Dia ha avviato un monitoraggio e i report che ne raccolgono i risultati denunciando molte irregolarità con moltissimi beni che risultano ancora occupati o dai mafiosi stessi o da loro parenti e prestanome.