Il marchio “Isotta Fraschini” che si vede ancora al cancello e sul capannone rimanda a tempi magari gloriosi, ma nel complesso industriale che sorge nella prima zona industriale di Gioia Tauro si vedono anche  una segnaletica tramontata, erbacce panoramiche e la spazzatura ornamentale: scene del disonore. Benvenuti nel cuore del potenziale distretto portuale-industriale gioiese, a due passi dalle gru dell’ex scalo dei miracoli, oggi incubo di Stato.

 

Si vede un opificio semiabbandonato che fu di una mai nata casa automobilistica, che oggi, dopo un milionario acquisto all’asta tra mille polemiche, appartiene all’Autorità Portuale, quindi ad un ente alle dipendenze del ministero dei Trasporti che ancora  continua a convocare futuri tavoli per la vertenza in corso, senza ricordarsi di quel che già possiede a Gioia Tauro e che le sue articolazioni territoriali non riescono a sfruttare. Dopo l’acquisto fu promesso un piano di reindustrializzazione e il riassorbimento dei 280 metalmeccanici. Nello stabilimento è attiva solo un’impresa, “Ventura”, una ditta che si occupa di costruzioni di infrastrutture ferroviarie. L’altra ditta che si era insediata, “La Soleradiatori”, è fallita.   

 

Se i tecnici dell’Unione Europea facessero una capatina qui – a 15 anni dall’inglorioso incameramento statale che si vede – avrebbero molto da ridire anche sulle chance di autorizzare per Gioia Tauro una Zona Economica Speciale. I 286.000 mq. Dell’ex Isotta Fraschini, infatti, fanno parte della “Zona Franca chiusa” voluta da Bruxelles. Esenzioni fiscali e agevolazioni sul costo del lavoro serviti a nulla, col patema che anche i futuri permessi dell’Ue – se mai ci saranno – facciano la stessa fine. L’area conveniente non si è mai espansa, anzi non è mai stata attrattiva. Non è solo colpa dell’azienda Mct la crisi di oggi con 400 portuali che rischiano il licenziamento. (2-CONTINUA)

 

Agostino Pantano