La presentazione del volume a Palazzo Miceli. Papà Martino ringrazia il vescovo Attilio Nostro per il monito rivolto agli assassini: si pentano e confessino
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Papà Martino – leggono una delle due studentesse che modera la presentazione di Vite spezzate – aveva tutto il suo mondo attorno a sé, all’ora di cena: Anna, sua moglie; Maria Teresa e Giusy, le due figlie; Filippo, quel figlio, che la sera del 25 ottobre 2012 gli fu strappato via da un commando che doveva assassinare un rivale, ma fece strage di un innocente.
Al Festival Leggere & Scrivere, lo spazio dedicato alla presentazione del libro scritto da Maria Maiolo è gremito. Ci sono anche Elsa Tavella (foto a sinistra), la madre di Francesco Vangeli, vittima della lupara bianca, ed i genitori di Stefano Piperno, il giovane insegnante di Nicotera assassinato e poi bruciato nella sua auto. Ci sono autorità politiche, esponenti dell’associazionismo, ma soprattutto ragazzi. Martino ascolta, guarda le due ragazze, bravissime, Vincenza Caparra e Katy Biondi (foto in basso), studentesse del Liceo Morelli, che conducono con piglio, trasporto e maturità.
È al fianco di Maria Maiolo e di Giuseppe Borrello, il referente provinciale di Libera, che ha curato la prefazione di un volume – spiega l’autrice – scritto col cuore. «Tutto ebbe inizio – spiega Maria Maiolo – quando, per una mia tesina di maturità chiesi a Martino di farmi visitare la camera di Filippo. Io lo conoscevo, Filippo. Quando non andavamo a scuola e passavo dal mercato, non potevi non notarlo alla bancarella del papà. Era un volto pulito e poi era bello…».
Il caso di cronaca, l’eccidio di un innocente, diventa solo il punto di partenza per il racconto di una dimensione umana più profonda, quella di una famiglia felice, serena, quasi perfetta, la sua esistenza viene devastata dal più atroce degli eventi. Sono queste, dunque, le «Vite spezzate».
Spezzate, ma non sole. Come spiega Giuseppe Borrello, che rimarca il valore della «gioventù in sala e fuori da questa sala che sta divenendo testimone di un impegno civile fortissimo contro ogni genere di violenza». Rimarca, Borrello, rifuggendo dalla retorica, il ruolo «delle donne. Oggi abbiamo davanti a noi le madri di Filippo, di Francesco e di Stefano, che danno forza non solo alle loro famiglie, ma anche alle nostre battaglie. E poi ci siete voi…».
Borrello è lucido: «Ha ragione Martino quando dice che la ‘ndrangheta può capirla davvero solo chi l’ha vissuta sulla propria pelle. Ma noi abbiamo il dovere di sostenere e confortare questa comprensione, sempre al fianco delle vittime innocenti delle mafie». È una bella serata, al Festival Leggere & Scrivere, nella rinnovata cornice di Palazzo Miceli, su Corso Vittorio Emanuele III a Vibo Valentia.
Il ricordo è drammatico, così come lo scritto di Maria Maiolo, semplice ma autentico. «Ma la grandezza di Martino – conclude Giuseppe Borrello (foto a sinistra) – è stata quella di trasformare questo dolore in coraggio, impegno e memoria». Così la memoria Filippo Ceravolo diventa patrimonio collettivo.
Anche Martino interviene. Racconta, con la veracità che lo contraddistingue, il suo dolore, ma anche la sua vita oggi. E la sua rabbia, la sua sete di giustizia. La sua estenuante attesa. Nell’applauso della sala c’è il conforto di cui parla proprio Borrello.
Con orgoglio parla di suo figlio, nel nome del quale prosegue nella sua battaglia, che è in parte raccontata proprio in un volume il cui ricavato andrà interamente in beneficienza. «Voglio che di mio figlio si parli e si continui a parlare – dice papà Martino – finché non avrà giustizia. E sono davvero grato al vescovo della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Attilio Nostro per il messaggio che ha inteso rivolgersi agli assassini, affinché si pentano e confessino quanto hanno compiuto. Abbiamo bisogno delle sue preghiere. Per andare avanti noi e affinché vadano avanti gli inquirenti».