Si è chiusa la due giorni organizzata dal Consorzio per la tutela e la valorizzazione dei vini doc di Cirò e Melissa: un piccolo grande viaggio nelle cantine alla riscoperta di un tesoro che valica i confini nazionali
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Si è conclusa la terza edizione del “Cirò Wine Festival”, una due giorni all'insegna delle produzioni vitivinicole e della riscoperta dei profumi e sapori del territorio, organizzata dal Consorzio per la tutela e la valorizzazione dei vini doc di Cirò e Melissa. La kermesse ha dato modo ai partecipanti non solo di apprezzare le produzioni, ma di visitare anche le cantine stesse nella prima giornata del Festival, con quattro tour in quindici aziende. «E' andata molto bene – ha dichiarato il presidente del Consorzio Raffaele Librandi – è il primo anno che abbiamo organizzato i tour nelle aziende, ed è stata un bella esperienza per gli ospiti».
Con Librandi abbiamo cercato di conoscere meglio questo mondo, cercando di capire un po' tutto il comparto territoriale, anche perchè probabilmente il vino Cirò è quello più bevuto al mondo. Abbraccia una clientela trasversale, grazie anche all'introduzione in un panorama più vasto da parte dei calabresi emigrati, è un prodotto che piace un po' a tutte le fasce d'età, e verosimilmente i giovani stanno iniziando ad apprezzarlo maggiormente. Il paese dove viene esportato maggiormente è la Germania, anche se sta penetrando anche nel mercato degli Stati Uniti, del Canada e del Giappone, nonostante la regione Calabria non sia una delle più conosciute. Per quanto riguarda la produzione annuale, solo per il territorio di Cirò si producono all'anno circa 4 milioni di bottiglie.
Il momento clou del Cirò Wine Festival è stata la Gran Degustazione, avvenuta in località Madonna di Mare, che ha visto protagonisti produttori e produzioni vinicole: in particolare sono state presenti ventinove aziende su quarantaquattro cantine, e trecento produttori che fanno parte del Consorzio. In occasione di questa kermesse abbiamo anche cercato di capire con alcuni produttori le differenze nella produzione nel passato e nel presente: «per uno strano paradosso – ha dichiarato il viticoltore Cataldo Calabretta – si è ricoperto uno stile “vecchia maniera”. Siamo ritornati a fare il Cirò di solo gaglioppo per il rosso e il rosato, a usare sempre meno tecnologie in cantina, e a utilizzare sempre più il valore aggiunto della vigna. Facciamo fermentazioni spontanee e abbiamo trovato una nicchia di appassionati che apprezzano i vini con uno stile riconoscibile, territoriale, naturali, con agricoltura biologica». Dunque, c'è una riscoperta delle antiche tradizioni nella produzione vitivinicola, con un pubblico di nicchia che ricerca quei sapori che, forse, si stavano andando a perdere. C'è, comunque, questa “scuola di pensiero” che punta sulla qualità originale in quello che produce.
Negli ultimi anni è, dunque, cambiato il modo di produrre il vino, con un ritorno alle origini: «è cambiato in meglio – ha dichiarato Cristian Vumbaca delle Cantine Scala – qui a Cirò ci stiamo impegnando da diversi anni nella produzione di vini di qualità, a discapito della quantità per come avveniva negli anni '70». Francesco Scala ha fatto un quadro più generale, tra passato e presente, visto che l'azienda, nata nel 1949, è a conduzione familiare e ha attraversato quasi settant'anni di storia e trasformazione. «Sono cambiate sicuramente le tecniche di vinificazione – ha dichiarato Scala – le tecnologie sono migliorate fortunatamente, e adesso le fermentazioni avvengono a temperatura controllata, mentre un tempo si fermentava in vasche di cemento sotto terra. Sicuramente le tecniche hanno favorito anche i vini più eleganti che possono essere esportati e competere senza invidia con vini di qualsiasi altra nazione o regione italiana». Dunque, un uso della tecnologia moderna per riscoprire antichi sapori, dove la qualità è al centro.