Intervista ad Andrea Murdock Alpini, noto esploratore subacqueo, che spiega le meraviglie celate in fondo al mare. Da recenti immersioni nella zona di Cannitello emersi reperti di inestimabile valore storico
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Andrea Murdock Alpini, noto esploratore subacqueo, ha fatto una scoperta sensazionale durante una delle sue ultime immersioni nello Stretto di Messina. L'esploratore si è imbattuto in un vero e proprio porto antico, perfettamente conservato, al largo di Cannitello. Alpini scopre e documenta relitti in diverse parti del mondo. L'obiettivo delle sue attività è quello di contribuire alla ricostruzione della storia marittima e di promuovere la conoscenza degli ambienti sommersi.
Durante una serie di immersioni nello stretto di Messina mirate, in punti specifici del fondale, caratterizzati da una particolare conformazione, Alpini ha rinvenuto un'alta concentrazione di ancore di diverse epoche.
«Inizialmente ho trovato un'ancora, poi un'altra e ancora un'altra - ha dichiarato l'esploratore - ho capito subito che stavo esplorando un sito di grande importanza storica. La presenza di così tante ancore, risalenti a periodi diversi, indica chiaramente che in questo punto si trovava un approdo molto frequentato dalle navi nel corso dei secoli».
Secondo Alpini, la posizione strategica del sito, esposto ai forti venti e alle correnti dello Stretto, potrebbe spiegare l'abbondanza di ancore ritrovate. Le navi, infatti, spesso perdevano le ancore a causa delle condizioni meteo marine avverse. «La cosa più affascinante è che i reperti rinvenuti coprono un arco temporale vastissimo, dal periodo romano fino all'Ottocento - continua Alpini - questo significa che abbiamo la possibilità di studiare e ricostruire oltre duemila anni di storia della navigazione in questo tratto di mare».
Quali criteri utilizza per individuare le zone più promettenti per le sue immersioni esplorative? Ci sono particolari segnali o caratteristiche che la guidano nella scelta dei siti?
«La scelta dei siti di immersione è un processo che richiede una combinazione di analisi preliminari e intuito sul campo. In genere, inizio studiando attentamente le mappe batimetriche e i dati provenienti dagli ecoscandagli».
«Una volta individuata un'area potenzialmente interessante, continua l’esploratore - valuto attentamente le condizioni ambientali, come le correnti e la visibilità, per garantire la sicurezza dell'immersione. Una volta sott'acqua, mi affido all'esperienza e all'osservazione diretta del fondale. Cerco di individuare particolari texture, colori o forme che potrebbero indicare la presenza di strutture artificiali o di interesse geologico, fondamentale per ottimizzare la ricerca».
Potrebbe descrivere in maniera più dettagliata la tipologia di fondali presenti nello Stretto di Messina e come questa varietà influisce sulla ricerca di reperti archeologici subacquei?
«Lo Stretto di Messina presenta una grande varietà di fondali. Partendo da Scilla e procedendo verso nord, troviamo principalmente fondali sabbiosi. Man mano che ci si avvicina all'imboccatura dello Stretto, dal lato calabrese, il fondale diventa prevalentemente roccioso, con la presenza di grossi scogli sommersi e persino montagne sottomarine. Nella zona di Cannitello, invece, si alternano tratti sabbiosi a zone caratterizzate da sassi levigati dalle forti correnti marine».
«Partendo da questi dati, si delimita un'area di ricerca e si utilizzano gli ecoscandagli per cercare anomalie sul fondale che potrebbero corrispondere a un relitto. Tuttavia, è importante sottolineare che la ricerca subacquea è un'attività che richiede molta pazienza e spesso comporta numerosi tentativi infruttuosi».
Da quanto tempo la Calabria è tra i suoi progetti di lavoro?
«Ho iniziato a frequentare la Calabria sei anni fa e da allora torno ogni anno. L'interesse per questo territorio è nato dalla consapevolezza del grande dal grande potenziale dei fondali. La ricchezza della vita marina e la bellezza dei paesaggi sottomarini rendono questa regione una meta strepitosa per ogni esploratore».
«Le mie ricerche subacquee negli ultimi sei anni si sono concentrate principalmente sullo Stretto di Messina, con particolare attenzione alla zona di Palmi. Tuttavia, ho esteso di recente il campo delle mie esplorazioni alla costa ionica calabrese, convinto del grande valore di quest'area».
Lei si occupa anche di ricerca archeologica?
«Le mie attività non rientrano nell'ambito della ricerca archeologica subacquea che richiede specifiche autorizzazioni ministeriali. Mi dedico principalmente all'esplorazione di ambienti subacquei profondi».
Può descrivere in dettaglio la preparazione fisica ideale per un'immersione?
«La preparazione fisica per un'immersione varia in base alla sua complessità. Per immersioni prolungate, è fondamentale un allenamento sia fisico sia mentale. La mente, in particolare, gioca un ruolo cruciale nella gestione dello stress e nella concentrazione. Una corretta alimentazione, ricca di frutta e acqua, e un adeguato riposo sono elementi essenziali per ottimizzare le performance subacquee».
Quali sono i passi successivi al ritrovamento di un oggetto di interesse archeologico sott'acqua?
«In caso di ritrovamento fortuito di reperti archeologici subacquei, o di relitti, il mio ruolo si limita alla segnalazione alla Soprintendenza dei Beni Culturali e alla Capitaneria di Porto Competente territorialmente. Il recupero e la valorizzazione sono compiti affidati a nuclei specializzati della Soprintendenza. Un esempio emblematico è il ritrovamento di due ancore, una romana di dimensioni notevoli e un'altra di epoca più recente. Questo rinvenimento sottolinea l'importanza di un approccio multidisciplinare alla tutela del patrimonio subacqueo, al fine di valorizzare questi reperti e trasmettere alle future generazioni le conoscenze storiche che essi custodiscono».
Tra i numerosi reperti subacquei che ha avuto modo di osservare, quale considera il più significativo?
«Le mie immersioni mi hanno portato a esplorare relitti in tutto il mondo, ma il ritrovamento simultaneo di un'ancora romana e di un'ancora ammiragliato rappresenta un'esperienza indimenticabile. La compresenza di questi due manufatti, appartenenti a epoche storiche così distanti, ha offerto uno spaccato unico della storia marittima».
Quali sono i principali fattori di rischio legati all'attività subacquea?
«L'ambiente marino è intrinsecamente dinamico e soggetto a continue variazioni. Le condizioni meteorologiche e oceanografiche, in particolare le correnti marine, rappresentano un rischio significativo per la sicurezza dei subacquei. Inoltre, l'esposizione a pressioni elevate e tempi di immersione prolungati, possono determinare l'insorgenza di patologie da decompressione, con potenziali conseguenze gravi per la salute».
Quali tipologie di imbarcazioni vengono utilizzate nelle vostre operazioni subacquee e quale è la composizione tipica del team di supporto?
«La scelta dell'imbarcazione varia in funzione delle specifiche esigenze di ogni immersione. Da un semplice gommone per brevi esplorazioni, a imbarcazioni oceanografiche per missioni di lunga durata, la tipologia di unità navale impiegata è determinata da fattori quali la profondità, la distanza dalla costa e la complessità delle operazioni subacquee. Il team di supporto, oltre al personale di bordo, comprende solitamente un assistente di superficie e, in alcuni casi, anche subacquei di supporto che operano a profondità intermedie per fornire assistenza logistica durante l'immersione».
Quali sono le normative relative al recupero dei reperti archeologici subacquei?
«Il recupero dei reperti archeologici subacquei è soggetto a severe restrizioni. È vietato asportare qualsiasi oggetto rinvenuto su un relitto senza le necessarie autorizzazioni. La conservazione in situ rappresenta la modalità di tutela preferenziale, in quanto consente di preservare il contesto archeologico e di ridurre al minimo il rischio di danneggiamento dei reperti. In alcuni casi, per reperti di eccezionale valore scientifico, può essere autorizzato il recupero, previo un'attenta valutazione dei costi e dei benefici».
Esplorare i fondali marini, dunque, è come immergersi in un archivio vivente della storia del nostro pianeta. Ogni traccia di antiche civiltà è una pagina di un libro che racconta milioni di anni di evoluzione.