Intervista all’artista nato a Crotone entrato nella grande famiglia dell'editore Bonelli come colorist. «Inseguo le storie calabresi per farne fumetti»
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Dice di sentirsi un anomalo che ama le sequenze. Vederle insieme, una di seguito all’altra, come quadri di una pellicola che l’occhio movimenta, gli dà un senso di ordine e logica.
Alla maglia della nostaglia nerd preferisce scarpe veloci, a inseguire un futuro ancora da disegnare. Vincenzo Filosa, artista, fumettista, traduttore, docente alla Scuola Internazionale Comics, ha quarant’anni, quasi quarantuno, radici a Crotone e dietro le spalle una solida cultura per immagini, coccolata e curata da anni di passione e viaggi.
Ha un sogno, su tutti, vedere la nascita di un manga tutto italiano, legato a doppio nodo al territorio, ai suoi spunti narrativi e alle sue atmosfere caratteristiche.
«Quello che dico sempre ai miei studenti, è la lezione principe dei manga: scrivi di ciò che sai. Se non sei mai stato a Tokyo allora non ambientare la tua storia lì, non saresti credibile. Dobbiamo tutti scoprire il nostro personale pozzo da cui attingere. Solo così saremo sinceri prima con noi stessi e poi con i lettori».
La Calabria è il pozzo giusto?
«Sì, e rispondo senza esitazioni. Non sai quante storie ho scoperto per caso. Qui basta passeggiare per le strade di un paesino sperduto e parlare con un’anziana signora alla porta, per trovarti davanti a spunti straordinari. Il nostro è un mondo popolato di mostri e draghi e fachiri e magare, perfetto per un manga».
Una galassia del fantastico che rischia di morire
«È proprio questo il problema, dobbiamo raccogliere queste perle prime che sfuggano via per sempre. Quella che io chiamo la mia grande svolta, è stata l’incontro con lo scrittore Gioacchino Criaco per cui ho illustrato il romanzo “L’ultimo drago di Aspromonte”. Io credevo che fosse difficile trovare un punto di partenza per cominciare a lavorare e invece lui mi ha fatto capire che non solo c’è il bisogno ma c'è la necessità di raccontare la Calabria in modo diverso dal consueto».
E il tuo ultimo libro, Cosma&Mito, è un primo passo
«Il primo volume è già uscito e a novembre in libreria sarà disponibile il secondo, sempre per la casa editrice Coconino Press. Si tratta di un’opera fantasy ambientata in Calabria. Cosma e Mito sono madre e figlio chiamati ad aiutare la popolazione preda di mostri».
Mostri che esistono davvero nella tradizione popolare calabrese?
«Sì, sono frutto di racconti antichissimi entrati a far parte della nostra cultura tradizionale. Penso al Blacaman di Castrovillari, un fachiro che andava a spasso per le fiere, penso al Drago a Sette teste di Cerenzia, sfidato da Ercole con un arco recuperato a Cirò, penso al toro di Torano castello. Nel secondo volume i lettori troveranno anche Parmenide a Crotone nel Castello di Carlo V».
Niente da invidiare alle grandi storie giapponesi
«Io credo che in Italia possiamo fare un salto in più in una direzione più personale e originale. A guardare le classifiche di vendita, nella sezione Varie, i manga svettano. Ma servirebbe più coraggio da parte degli editori per spingere verso la creazione prodotti che non siano solo acquisiti ipso facto dal Giappone. Possiamo davvero creare qualcosa di nuovo, qualcosa di tutto nostro qui».
Un manga tutto italiano dalla testa ai piedi?
«Esatto. Un primo tentativo è stato fatto con Bonelli in “Attica” ma c’è molta strada da fare».
Parliamo di Bonelli, parliamo di Dylan Dog, dal numero di dicembre ci sarà anche il tuo nome nella retrocopertina
«Ci sarò in veste di colorista per le copertine del duo Montanari-Bacilieri. È un’emozione grandissima poter lavorare con questi campioni su un personaggio così importante, una gioia immensa amplificata dal piacere di potermi confrontare con i mostri della redazione di Bonelli».
Dylan Dog qualche tempo fa ha avuto una sorta di restyling, spaccandosi in due filoni: uno totalmente classico, l’altro più aperto alla modernità. Tu in quale squadra sei e per quale squadra tifi: storica o sperimentale?
«Io collaborerò alla collana “Old Boy” quindi quella che è rimasta fedele ai canoni storici del fumetto di Dylan ma credo che l’apertura verso nuovi orizzonti sia una buona cosa. Ci sono personaggi, come Tex, che è difficile possano cambiare, Dylan Dog, invece, credo che si presti molto a svolte inedite. Per fare un esempio, una scena in cui Dylan mostra un cellulare è l’occasione per sviluppare tante situazioni e prospettive per intrecci di trama. I cambiamenti permettono anche a noi, nuovi autori, di avvicinarci a quel mondo lì. Quindi sì, sperimentiamo, proviamo, allarghiamo la mente».
Salto all’indietro. Tu, da piccolo, che fumetto avevi sempre tra le mani?
«Amavo tantissimo Topolino, Tiramolla e Geppo».
A parte Topolino, che sopravvive a ogni tempesta, altri fumetti per bambini sembrano scomparsi, perché?
«Perché in storie come quelle di Geppo, ad esempio, che piaceva alle mamme e ai bambini, si raccontava il quotidiano. Lasciando stare il contorno fantastico, in fondo ci raccontavano la vita. Adesso ci siamo ripiegati su una tendenza nostalgico-nerd che soffoca e non è certo votata al presente, va ad escludere un certo tipo di pubblico e si rinchiude in una bolla citazionista che non strappa né una risata né un sorriso se non a una ristretta cerchia».
È un tratto distintivo della generazione X, quello di insistere su un continuo recupero del passato.
«Dobbiamo fare un passo in più, andare oltre quello che è stato».
Quando hai capito che la creatività avrebbe segnato la tua vita?
«Quando ho finito gli studi in Culture e Lingue orientali, e sono partito per il Giappone. In quel Paese ho scoperto autori incredibili a cui sono rimasto molto legato e, naturalmente, la cultura dei manga».
Il tuo primo manga?
«Si chiama “Viaggio a Tokyo”, è il racconto per immagini della mia permanenza in Giappone dal 2006 al 2007, scritto e disegnato da me. Va sfogliato da destra a sinistra, come i manga classici».
In uscita, in coppia con Bacilieri, hai realizzato “Bob 84” che è una sorta di ibrido.
«Sì, si colloca tra Diabolik e i manga giapponesi. È un tascabile, interamente in bianco e nero, vicino ai canoni giapponesi di 160 pagine».
Vincenzo, tu sei nato a Crotone ma vivi a Milano, un distacco dal Sud che è più nostalgia o sollievo?
«Rammarico. Ho provato a restare in Calabria al mio ritorno dal Giappone, ma non c’erano margini. Per due anni ho girato a vuoto e poi ho dovuto fare le valigie e partire».
In qualche modo con l’arte, i mostri e le leggende, le distanze si sono accorciate.
«E colorate, anche se i manga sono in bianco e nero».