Tropea, Perla del Tirreno, città dalle bianche spiagge, dai palazzi secolari e dalle ordinanze a dir poco sui generis. Sì, perché nella città fondata da Ercole vige ancora oggi un provvedimento che, nel momento in cui fu emanato, non mancò di suscitare polemiche e un certo interesse voyeuristico.


Era il lontano 1982, l’Italia si era ormai lasciata alle spalle la stagione delle lotte femministe che avevano portato in tutta la penisola una ventata di emancipazione, incarnata soprattutto dal motto «Il corpo è mio e me lo gestisco io». Sulla scia di slogan e rivendicazioni, anche le spiagge tropeane cominciarono a registrare la presenza sempre più crescente di corpi femminili in monokini mostranti «chiappe chiare» e qualcosa in più.


Il sindaco di allora, Giuseppe Romano, con una trovata degna del più grande esperto di marketing della Silicon Valley, emise un’ordinanza che si può riassumere più o meno così: «È severamente vietato il topless in spiaggia, tranne se il seno merita di essere mostrato». La notizia fece il giro dello Stivale e non solo: valicò i confini arrivando anche alle orecchie dei turisti mitteleuropei che da poco avevano scoperto la città. Un motivo in più per trascorrere le vacanze in quel paradiso senza foglie di fico e serpenti intorno. Al massimo qualche discreto occhio lungo.


E oggi, a distanza di trentasei anni? Da quel che ci risulta, l’ordinanza non è mai stata revocata. La città ha visto alternarsi sindaci e consiglieri, corpi scultorei e quarte cadenti ma nessuno si è mai degnato di multare un seno ritenuto non degno di essere mostrato. Probabilmente perché l’allora sindaco Romano dimenticò un particolare fondamentale: la creazione di un Ufficio controllo seni. Forse, però, il primo cittadino ci vide lungo: in caso di concorso, l’ordine pubblico sarebbe stato a rischio, visto che gli aspiranti controllori avrebbero superato di gran lunga i controllati. Anzi, le controllate.