A pochi passi dal letto del Trionto, in quel posto in cui la leggendaria tradizione vuole sia stato, 2500 anni fa, il luogo del definitivo scontro tra le colonie Magnogreche di Sibari e Crotone, sulle due sponde del fiume (il più imponente della Calabria con il suo letto che in alcuni tratti è ampio più di un kilometro), ancora oggi, si celano storie, credi e misteri di popoli antichissimi che serbano nei loro paesi-roccaforte tracce di un passato segnato da Bretti, Greci, Romani, Turchi e Bizantini.

Dalla magnificenza di Rossano, la Ravenna del Sud e ultimo baluardo della magnificenza bizantina, passando per le riserve brezie di Castiglione di Paludi e le muraglie di Annibale a Pietrapaola, finendo alla leggenda della musa Kréusa a Crosia alle miniere aurifere di Longobucco: c’è un piccolo tesoro da scoprire e che nessuno o in pochi ancora conoscono. E di questo patrimonio, di magnificenza e mistero, fanno sicuramente parte le mummie del “gigante” e dei suoi pargoli, custodite nel cimitero di Caloveto, un piccolo paesino di poco più di 1200 anime, arroccato sulla sponda sinistra del Trionto.

La “mummia” di un gigante

Nella cappella dell’ossario, proprio all’ingresso del piccolo camposanto, di contrada Cerzeto, si trova una cassa in truciolato coperta da un vetro. All’intero tre cadaveri, ancora ben composti, e vestiti, di un uomo con le braccia ricurve e di due bambini: uno alla sua destra, uno alla sua sinistra. I calovetesi lo chiamano il “gigante” perché in quella cassa, lunga circa un metro e ottanta, il suo corpo c’entra di misura ma senza i piedi, che non sono mai stati ritrovati. I due bambini hanno ancora la dentatura integra e l’incavo degli occhi perfettamente conservati e tra l’altro, uno dei due, porta ancora un vestito a tramature a scacchi che ancora sono ben visibili.

Tre corpi di cui nessuno conosce l’identità

I tre corpi, di cui ancora nessuno conosce l’identità tantomeno l’epoca d sepoltura, vennero rinvenuti sotto al pavimento, durante i lavori di ristrutturazione della chiesa madre dedicata a San Giovanni Calibita, per opera di don Peppino Torrente, agli inizi degli anni ’60. C’è ancora qualcuno, come Angelo Caruso già sindaco di Caloveto e memoria storica del paese, che ricorda quei momenti del rinvenimento. «Ci sono donne che raccontano – ha detto proprio Caruso -  che quel giorno di oltre 50 anni fa, quando questi tre corpi vennero riportati alla luce, erano così intatti che sembravano statue. Addirittura, uno dei due bambini (si riferisce a quello con il vestito a scacchi ancora ben visibile, ndr) aveva ancora i capelli ricci e biondi in testa mentre l’uomo era avvolto da un mantello (di cui si sono perse le tracce, ndr) e la pelle dei tre era candida. È stata più l’usura del tempo e delle pessime condizioni di conservazione di questi ultimi anni ad accelerare il processo di decomposizione che non il microclima che si era creato nella sepoltura. Non sappiamo – ha aggiunto Caruso – chi siano queste tre figure né a quale epoca appartengano. Quello che si può notare è che probabilmente erano di famiglia agiata e benestante e sono morti a causa di un tragico evento dovuto ad una pestilenza piuttosto che ad un terremoto o a chissà quale altra disavventura. E a rimarcare questo dato è che sono stati sepolti insieme». Trovati sepolti in chiesa, inoltre, è sicuro che si tratti di persone morte prima dell’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone il 12 giugno 1804 e promulgato nel Regno d’Italia a partire dal 5 settembre 1806, con il quale si vietava la sepoltura nelle chiese. Quindi sono corpi esanimi da più di 200 anni.

Si chiede l’intervento della Sovrintendenza 

«È giusto fare luce sulla storia  - aggiunge il sindaco di Caloveto, Umberto Mazza – per consentire al popolo calovetese di risalire alle origini di queste tre figure che sono entrate a far parte, a pieno titolo, del patrimonio identitario della nostra comunità. Il “gigante e i suoi pargoli” potrebbero essere motivo di interesse per visitatori e curiosi e, quindi, potrebbe essere un’opportunità per rilanciare le aspettative turistiche del nostro territorio. Ecco, dunque, faccio appello alla Sovrintendenza dei beni culturali e a tutti gli Enti preposti, affinché si interessino di avviare ricerche scientifiche e approfondimenti su questi tre corpi, per risalire alla loro epoca ma anche alla storia sociale di queste persone che potrebbe dire tanto anche sul passato del nostro paese».