Arriva anche in Calabria l’eco della polemica che da anni infiamma il mondo dell’arte e che recentemente, con i fatti di Napoli, ha raggiunto toni parossistici: la querelle relativa alla facilità dei prestiti di capolavori spediti in giro per il mondo, a vantaggio dell’uno piuttosto che dell’altro paese straniero. Nel capoluogo campano si infuocano gli animi dopo la decisione di Sylvain Bellanger, direttore del Museo Nazionale di Capodimonte, di «spedire in Texas non uno, non due, non tre e neanche dieci capolavori della sua collezione, ma una quarantina di pezzi, già partiti alla volta degli States per essere esposti in una mostra al Kimbell Art Museum di Fort Worth, intitolata Flesh and Blood. Italian Masterpieces from the Capodimonte Museum”, tanto che “a leggere l’elenco delle opere che lasceranno per tre mesi il museo, c’è da farsi prendere da forti convulsioni (…): la Flagellazione di Caravaggio, la Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi, l’Antea del Parmigianino, la Danae di Tiziano, l’Atalanta e Ippomene di Guido Reni, la Pietà di Annibale Carracci, il San Girolamo e il Sileno ebbro di José de Ribera», come denuncia Federico Giannini nel suo editoriale per “Una finestra sull’arte”.

La Calabria ed i prestiti eterni

E seppur in misura minore, a suscitare reazioni in Calabria è un rientro atteso da anni, previsto per il 10 marzo: quello del busto di donna in basanite risalente ad età claudia (41-54 d.C.), rinvenuto nelle vicinanze di Vibo Valentia Marina i primi del Novecento, e da 8 anni negli stati Uniti. Sull’argomento, la senatrice Margherita Corrado interviene a gamba tesa. E la materia di fondo è sempre la stessa. La liceità degli scambi ed il riflesso negativo sull’impoverimento delle esposizioni. La notizia, comunicata dagli enti interessati i primi di febbraio, e già data nei giorni scorsi, continua quindi a far parlare di sé.

La nota della Corrado

«Torno sul tema dell’atteso rientro a Vibo del busto-ritratto femminile del I secolo dato in prestito al Princeton University Art Museum nel maggio 2012, e rimasto negli USA quasi 8 anni, per precisare che il reperto sarà consegnato al Museo Capialbi il 10 marzo prossimo, in attesa di essere ricollocato in esposizione - scrive la Corrado-. L’informazione - prosegue la nota - è contenuta nei documenti che la Direzione Generale Musei mi ha trasmesso, in risposta alla richiesta di visionare gli atti relativi alla vicenda. A monte c’è l’accordo ventennale Italia-USA del giugno 2007; un accordo a carattere confidenziale, quindi non reso pubblico, che tra l’altro garantisce al prestigioso istituto statunitense prestiti di media e lunga durata allo scopo di promuovere la conoscenza del patrimonio culturale italiano oltreoceano e, soprattutto, di agevolare gli obiettivi culturali del museo».

Basta assecondare gli americani

Sin qui, nulla di strano. Ma ad irritare la senatrice, i ritardi inaccettabili. «Dopo i canonici 4 anni, il rientro della scultura, stimata 2 milioni di euro, è stato più volte sollecitato a Roma dai cittadini del territorio e dagli uffici periferici del MiBACT in esso allocati, Soprintendenza prima e Polo Museale poi. Al Ministero ‘di Franceschini’, però, sembra si siano voluti assecondare prioritariamente i desideri degli americani, che ad ottobre 2016 chiedevano (per quello vibonese e per altri 3 reperti, prestati dal MANN) la proroga di un anno o più, e nell’estate del 2017 un prolungamento di 3 anni, tacitamente concesso a giudicare dai fatti. Così, la richiesta di restituzione inoltrata dalla stessa Direzione Generale Musei a giugno 2016 è stata accolta, di fatto, solo ad agosto 2019, dopo l’ennesima e più perentoria sollecitazione».

Perché prestare il nostro tesoro? 

Infine, la frecciatina al dicastero: «è solito pressappochismo italico, si dirà, o la consueta accondiscendenza nei confronti dei grandi musei esteri: ma è la comunità vibonese ad averne fatte le spese. Fa specie che, volendo inviare negli USA un esempio di scultura romana, si sia deciso di attingere ad un museo di Magna Graecia, che ad un pezzo di quella qualità, trovato in loco, assegna un valore identitario, invece che pescare nei depositi dei musei dell’Urbe, dove le opere analoghe sono migliaia».