Una tavola rotonda a Tropea sulle criticità dell'articolo 143 promossa da Rotary e Club per l'Unesco. Amministratori ed esperti hanno espresso pareri conformi sulla necessità di intervenire su alcune fraglità della legge
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Che ad amministratori e parte di accademia e avvocatura l'articolo 143 del Testo unico degli enti locali che disciplina lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa non risulti espressione coerente e pienamente costituzionale dell'alta amministrazione, era già noto. Ma che di recente, in Calabria, le valutazioni fossero giunte ad alto livello di criticità, è il risultato eclatante del convegno organizzato la scorsa settimana a Tropea da Rotary e Club per l'Unesco cittadini, al quale hanno preso parte amministratori (Maria Limardo, sindaco di Vibo Valentia) professori universitari (Luciano Maria Delfino) presidenti di ordini professionali (Domenico Sorace, presidente dell'Ordine degli Avvocati di Vibo), e associazioni (Francesco Rotolo - presidente Rotary Club, e Giuseppe Romano, presidente Club Unesco, entrambi di Tropea).
Le criticità dell'articolo 143
Il confronto tra esperti, interamente dedicato alle criticità del suddetto 143, li ha trovati concordi nell’affermare in buona sostanza che le promesse giuridiche alla base dell'applicazione dell'articolo, ad iniziare dal principio di straordinarietà che giustifica l’eccezionalità dell’azione prefettizia, seppur motivate dalla necessità di contrastare il fenomeno eversivo di stampo mafioso, finiscano con l’agire negativamente su diritti che dovrebbero essere costituzionalmente garantiti: ad iniziare dal sacrificio della controdeduzione.
Chi è mafioso?
«Con l'intervento di scioglimento non si capisce chi è mafioso e chi no – ha dichiarato il moderatore, avvocato Rotolo –. Non è un caso che quasi mai questi provvedimenti (i commissariamenti) non risalendo a responsabilità oggettiva, trovano sfogo in sede penale». Lo stesso aveva esordito evidenziando i numeri del fenomeno: «Dal '91 ad oggi si contano 537 procedimenti di scioglimento, 202 Decreti di proroga, 335 casi effettivi, 23 annullamenti e 66 casi di amministrazione sciolta più volte». Numeri che tutto evidenziano, tranne che la straordinarietà dell'evento.
Un macigno sulle sorti di un Comune
Giuseppe Maria Romano, presidente del club per l'Unesco di Tropea, aveva sottolineato l’urgenza di sciogliere le criticità di un fenomeno che riguarda tutta la provincia, i cui comuni sono più volte stati raggiunti da simili provvedimenti, ed aveva stigmatizzato l'immobilità di un comune in mano ai commissari, il dramma di non riuscire ad individuare le responsabilità con chiarezza, la delicatezza della fase del post scioglimento stante l'assenza di risorse economiche: «Un macigno sulle sorti di un comune già provato, che per giunta arriva nella fase di maggior bisogno, nell’ora più critica».
«Vizio di forma, diniego di giustizia»
«Ancora più drastica la voce più attesa dell'incontro tropeano, quella del professor Luciano Maria Delfino, accademico attivo tra Italia, Europa e Stati Uniti, che ha riproposto alla platea l'intervento già tenuto al Senato su criticità, limiti, scarsa autorevolezza e financo credibilità dell'articolo 143. «Premesso che non do una certezza ma pongo un interrogativo» ha esordito il giurista, e «pur non contestando la lodevole finalità», il professore giunge ad affermare: «il suo basarsi su principi di straordinarietà che danno poteri eccezionali al prefetto, è viziato dal fatto che tale straordinarietà di fatto non sussista», deducendone che «la stessa norma galleggia in un limbo, una sorta di incostituzionalità». Tanto che «il vizio diventa autentico diniego di giustizia».
Limardo: «Siamo ostaggio»
Altro vulnus, l’'indeterminatezza della questione tecnica («Se non trovo le condizioni per le quali il comune è stato etichettato come mafioso, come faccio ad appurare i fatti?» si chiederà il professore nel corso dell’intervento) «fa sì che ad oggi la 143 si palesi come l'esatto contrario di quanto afferma la giurisprudenza». Interessante anche il parere di Maria Limardo, nella duplice veste di sindaco di Vibo Valentia e di avvocato: «Come amministratore, a maggior ragione dopo quanto affermato dal professor Delfino, sono terrorizzata per questo crollo dei presidi dello stato di diritto – ha esordito apertamente il primo cittadino. «Siamo ostaggio. Subiamo la dittatura del vessillo dell'antimafia agitato sulle amministrazioni come strumento distorto del potere. E lo subiamo da destra sinistra e centro».
Un meccanismo imponente
E ancora: «Oggi anche da un'informativa lo Stato può mettere in moto un meccanismo imponente, che sfocia nella totalità dei casi con lo scioglimento del Comune», evidenziando altresì come «il fatto che il Tar del Lazio abbia iniziato ad annullare tali decreti lascia supporre che ci sia qualcosa che non va e rivela come questi meccanismi siano in realtà fragilissimi, a causa della discrezionalità totale, del libero arbitrio lasciato a chi questo strumento emana». Terzo ed ultimo parere allineato e coperto con quello dei suoi predecessori, quello dell'avvocato Sorace, nel cui intervento non sono mancate definizioni quali “diritto della paura”, “fallimento della democrazia”, “timore di ogni amministrazione alle prese con circostanze non controllabili e ostili”, e che si è concluso con il richiamo al dovere/diritto di agire sulla legislazione, al fine di ricondurre il tutto ad una norma basata su fatti e condotte. «Laddove si silenzia un amministrazione – questa la chiosa della giornata - si silenzia il cittadino».