«Il notaio smise di scrivere. Alzò la penna, ci guardò e disse: “Ma siete sicuri?”». Saverio La Ruina ricorda ancora quel giorno dei primi anni Novanta quando la compagnia “Scena Verticale” vide la luce dell’alba a Castrovillari. Con Dario De Luca avevano appena deciso di mettersi in proprio in un territorio ancora vergine, come quelle foreste piene di bellezza che però, di notte, possono diventare ostili. A distanza di tanti anni, il ricordo di quell’inizio è dolce e prende i contorni di un ritratto di famiglia posizionato in salotto, da guardare con amore e sollievo. Di strada ne ha fatta, e tanta, La Ruina. Formazione, studio, maestri importanti, palcoscenici di tutto rispetto. È un talento che ha attraversato i confini, ha mostrato le sue potenzialità, ma qui in Calabria è voluto ritornare per gettare germogli.

Ha vinto sei premi Ubu: due li ha ricevuti nel 2007 con Dissonorata come Migliore attore italiano e per il Migliore testo italiano, uno nel 2009 per il festival Primavera dei Teatri, uno nel 2010 con La Borto per il Migliore testo, uno nel 2012 come Migliore attore italiano con Italianesi. L’ultimo è arrivato il 18 dicembre scorso con uno spettacolo di grande successo in Italia, che in Calabria è stato rappresentato solo due volte. Misteri della fede.

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Nel solco del ricordo ma senza nostalgia

La Ruina è una rarità, e il recente riconoscimento è solo la conferma di cui non si aveva bisogno. “Via del Popolo”, ha in sé il germe del ricordo, ma non è un’operazione nostalgica. «Qualcuno ha scritto che questo spettacolo sta al teatro come “The Fabelmans” di Spielberg sta al cinema -. ci racconta di sera, al termine di un intenso laboratorio teatrale -. Non mi piace tornare con la mente a ciò che è stato, solo per dire quanto si stava meglio prima. Piuttosto amo far rivivere certe cose, rievocarle come se mi passasse davanti il loro riflesso. Da piccolo lavoravo nel bar di mio padre e da lì passavano proprio tutti. Ricordo i discorsi che facevano, le loro facce. Si parlava, si comunicava, le informazioni viaggiavano veloci così. Quando passeggio per quelle vie, così cambiate, le serrande delle botteghe sono tutte giù. Un tempo c’era il cinema, il calzolaio, il falegname e la gente si incontrava per strada, condivideva. Ora ci siamo rinchiusi nei grandi centri commerciali e stiamo dimenticando cosa vuol dire comunicare, ed è colpa di tutti».

“Via del Popolo” è uno spaccato familiare, un monologo in cui il tempo che passa è come un personaggio in scena e sta accanto all’attore. «Nacque di sera. Ero affacciato dal terrazzo della mia casa a Castrovillari. Era tutto buio, solo tre luci brillavano davanti a me, erano le case delle amiche di mia mamma. Tutto il resto era inghiottito dal nero, silenzioso, serrato. Era chiusa anche la piccola bottega all’angolo di una strada, restava solo il fantasma di un’insegna. Sono partito da qui per scrivere, da quel nero». Così La Ruina ha espresso il potere della rievocazione che sta proprio nel trasformare visioni in parole e poi in voce, in sensazioni che arrivano al pubblico come una eco lanciata fra due montagne.

La sorpresa della nomination e la vittoria

La notizia degli Ubu, quest’anno, è arrivata a sorpresa. «Non me l’aspettavo, so che si dice sempre così, ma sono sincero. C’erano tanti validi competitor e in tutta sincerità non credevo di arrivare neanche alle nomination. Una sera, era quasi mezzanotte, mi scrissero un messaggio di auguri. Non capii. Poi vidi un’email, ero passato… ma chi ci pensava che potessi vincere. Invece, eccoci qui».

Sul palco ammette di provare la stessa emozione degli esordi, un misto di eccitazione e patema che riesce a trasformare in forza e concentrazione. «Quando arrivo in scena guardo la prima fila. So che devo gestire l’emotività, mi ripeto che posso farlo, allora osservo le espressioni di chi è davanti a me, le interpreto. Quando portai “Dissonorata” al Nord Italia, ricordo i volti degli spettatori quando attaccai con la prima battuta in dialetto. Un signore fece un gesto che mi buttò a terra: alzò il polsino per guardare l’orologio, e lo spettacolo era appena cominciato. Sono i rischi del mestiere, ma il bello è anche riuscire a conquistare quelli che non vedono l’ora di andare via. Il miracolo sembra impossibile, ma poi si ripete».

Quando arrivo la Primavera in Calabria

La paura che tutto finisca, è un fedele compagno di viaggio, un’ombra di fumo. «Questo mestiere ti porta su vette altissime, e poi ti affonda. Guerreggi con la soddisfazione quando tiri fuori una cosa che ti appaga, e con lo sconforto quando ti convinci che è finita ogni cosa: l’ispirazione, la poesia, le storie e il modo di raccontarle. Finché sei un nome forte, il tuo pubblico ti segue sempre e comunque, noialtri viviamo con il timore che un fallimento possa spegnere quel rapporto con gli spettatori, ma forse è un incentivo, un motore che spinge sempre a dare il meglio».

Il dubbio che anima il cuore di chi crea, è amante fedele e appassionato. «Bisogna cercare sempre un nuovo equilibrio, quando la terra si muove sotto i piedi e non riesci a stare su occorre cambiare, non avere paura di farlo». Il teatro in Calabria, secondo La Ruina, è in fermento anche se il supporto alle compagnie non sempre è costante. «Quando abbiamo creato Primavera dei Teatri non avevamo il pubblico di ora. La verità è che ce lo siamo creato con cura e pazienza, offrendo qualcosa, avendo una visione di ciò che volevamo portare in scena. Non è sufficiente creare stagioni sulla base di nomi noti, perché così non lasci niente al territorio, magari fai il tutto esaurito ma in fin dei conti cosa crei?»