Pubblicato per i tipi di Divergenze il volume dell’autrice calabrese, fondatrice della rivista Risme, esplora i meandri di un mondo in cui per essere vivo non devi fallire mai
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“Ecco come sappiamo di essere vivi, sbagliando”. Così Philip Roth in “Pastorale americana” modella la sua concezione di essere umano e la percezione dell’altro che non può che essere basata sull’errore. Immaginando l’aberrazione, che un concetto all’apparenza tendente alla perfezione diventi esso stesso totem del difetto nella ricerca esasperata del suo modello utopico, ci ritroviamo nell’universo distorto di un tempo distopico.
Per una certa società, in un Ventiduesimo secolo tinteggiato da una tavolozza tendente al neutro inquieto, nessuno può permettersi di fallire. L’andare incerto, l’inciampo, la scelta che divampa nel peccato, è una macchia da bucare con uno spillo, da amputare effettuando un’autopsia nei ricordi del soggetto che da persona diventa sigla, miscellanea consonantica e numerica, anonimo corpo avvolto dal sudario della sua colpa da eradicare ma nel futuro. L’individuo è considerato un algoritmo di azioni che seguono a sollecitazioni, un organismo che vale in relazione ai risultati, come una macchina qualunque. Vita, rendimento e riga da tirare. Ritratto d’attualità immerso nell’universo del fantastico. “Rigenerazione K035” (Divergenze, pagg 120) è il nuovo romanzo di Sara Maria Serafini, autrice di talento e fondatrice della rivista letteraria Risme. Serafini esplora, con metodo e precisione scientifica, i meandri di un mondo la cui politica si sublima in un repulisti crudele, mascherato da un sillogismo elementare che mira al benessere: il mondo è corrotto, l’uomo compie errori, se elimini gli sbagli umani il mondo sarà perfetto. La conseguenza è una igienizzazione collettiva reputata necessaria, disinfestazione del male destinata a precipitare per principio.
Il raggiungimento di questo miraggio passa attraverso un crimine ancora più feroce di quello che si intende non punire ma ricalibrare, punto focale di un’Agenda che è diktat assoluto e imprescindibile: rigenerare i soggetti deviati e osservarne le reazioni, come fossero topi da laboratorio, nella grande ruota del Tempo. Seguiamo le vicende a specchio di Lia e poi della sua versione rigenerata: Ama[Lia]. Una vita tranquilla, studi, amori, sesso, relazioni, maternità. Un percorso che non sembra anomalo, non al punto da indurre il sospetto che lei possa macchiarsi di un evento delittuoso assolutamente imprevedibile e senza movente. La rigenerazione mira a capire dove il meccanismo mentale s’è inceppato e dovrebbe essere le risposta alla domanda spontanea che sorge sempre all'indomani di un sanguinoso fatto di cronaca, e cioè: perché l’ha fatto?
Qui uno degli aspetti più interessanti nel narrato di Serafini, che riesce a districarsi con innata eleganza in una storia caleidoscopica, l'analisi dell’imprevedibilità delle azioni umane. Laddove nella società raccontata nel romanzo, il tentativo è quello di imbrigliare finanche gli istinti, in una rete che renda tutto controllabile, dai gradi di felicità (modello URBAN) alle relazioni (MATCH), qualcosa ancora sfugge al grande occhio: l’indeterminatezza. Come una materia oscura che dell’Universo occupa la gran parte senza che nessuno abbia capito cos’è e com’è fatta, anche la non perfetta definizione dell’animo umano, mosso da una complessità cerebrale che rifugge alla più meticolosa rete di calcolo applicabile, è componente propria di ciascuno in misura esponenziale. Di questa imprevedibilità, che davanti a certi eventi accende alcuni comportamenti che mai, con lucidità, ci diremmo capaci di compiere, è composto il midollo spirituale dell’essere umano e ne è forse la metà di tenebra. Per questo, nelle categorie da attenzionare, la società del romanzo comprende tra le devianze quella genetica, con movente e senza movente (la più complicata perché sfuggente al raziocinio).
Nella sua seconda vita come Amalia (forse nel gioco della rimodulazione potrebbe apparire un imperativo ad amare la sé originaria, a perdonarla), Lia si muove nelle acque alte del suo inconscio stimolato dal passato. Ogni reazione viene analizzata, scannerizzata, analizzata per capire quello che mai nessun tribunale, nessuna Inquisizione, nessun uomo, nessun Dio riuscirà mai a capire, ricerca ultima di ogni società religiosa e laica: le radici del male. Scriveva Gadda: "...era il male oscuro di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare la causa, i modi: e lo si porta dentro di sé per tutto il fulgorato scoscendere d'una vita, più greve ogni giorno, immedicato". Le diramazioni di questo buio sono così profonde da confondersi con la luce della vita stessa e forse ne fanno parte integrante e necessaria.