VIDEO | La prima presentazione del volume nella città dello Stretto dove il progetto è nato avvenuta nell'ambito delle manifestazioni promosse dalla fondazione Antonino Scopelliti per il trentennale dell'uccisione del giudice calabrese
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«Sono davvero molto contento di riportare a casa la mia storia che avevo conservato in una valigia, giunta con me a Viterbo». Torna in Calabria racchiusa nel libro fotografico "PM 550 Sergente Maggiore", dal nome che aveva la casella postale militare italiana associata alla zona operativa di Rodi, isola principale dell’allora Dodecaneso durante la Seconda Guerra Mondiale. È la storia che, in quasi quattrocento preziosissime lettere, il nonno Salvatore, fatto prigioniero dai nazisti per essersi rifiutato di diventare collaborazionista e disperso nel mar Egeo in occasione del drammatico naufragio del piroscafo Oria al largo della Grecia nel 1944, ha raccontato alla nonna Serafina rimasta, come Penelope, ad attenderlo in Calabria, a Cittanova con i figli. A riportarla a Reggio dove il progetto è nato, è il fotografo Michele Furci, nipote di Salvatore disperso in guerra e figlio di Enzo a sua volta orfano di guerra, da anni residente e Viterbo ma rimasto fortemente legato alla sua terra di origine.
La prima presentazione
Presentato per la prima volta a nella città dello Stretto, in occasione delle celebrazioni del Trentennale della morte del giudice reggino Antonino Scopelliti, ucciso a Piale il 9 agosto 1991, presso la Rotonda 8 marzo che ospita l'opera di Edoardo Tresoldi, il libro fotografico "PM 550 Sergente Maggiore" del reggino Michele Furci è un racconto per immagini molto intimo che nasce dall'esigenza di non disperdere e di raccontare il destino di una famiglia che la grande Storia ha dirottato. Nasce dal desiderio di leggere le quasi quattrocento lettere che il nonno Salvatore aveva scritto alla nonna Serafina dalla quale non è più tornato. Una scomparsa rimasta sospesa nel tempo, ancora oggi avvolta in un mistero rimasto addosso a Michele Furci che lo ha indagato con la sua fotografia.
Pm 550, lettere dalla guerra
La ragione del titolo è da rintracciare nella centralità del ruolo delle lettere, conservate dalla zia Tita, tanto nel legame tra Salvatore e Serafina, separati dalla guerra e mai più riunitisi, tanto nella possibilità che queste lettere scritte e conservate, settant'anni dopo stanno rappresentando per un viaggio a ritroso nella Storia alla ricerca di quelle risposte che Michele Furci è adesso intenzionato a trovare.
«Leggere le quasi quattrocento lettere di mio nonno e le due, tre di mia nonna mi ha permesso di conoscere uno spaccato di quotidianità in epoca bellica, la normalità in tempo di guerra. La memoria non è mai statica ed è invece fondamentale per leggere il presente e andare verso il futuro. La memoria, questa in particolare, serve a me e alla mia famiglia per conoscersi», ha sottolineato il fotografo reggino.
Un vicenda familiare sospesa nella Storia
Nonno Salvatore è morto nel più grave disastro navale della Storia in cui persero la vita oltre quattromila soldati italiani fatti prigionieri dai Nazisti e oppure è sopravvissuto? Se è sopravvissuto perché ha scelto di non tornare dalla sua famiglia? Da queste domande ancora senza risposta nasce un lavoro interiore e personale, come un diario per contenuti e dimensione, pubblicato dalla Doll’s Eye Reflex Laboratory in piena pandemia lo scorso anno, con un finale aperto che, ha sottolineato la curatrice Irene Alison, intervenuta in collegamento durante la presentazione, «valorizza il senso di una scomparsa rimasta sospesa tra la morte in mare e la sopravvivenza, tra la paura e la speranza di questo mancato ritorno a casa».
Il prossimo viaggio
«Una vicenda familiare irrisolta, sospesa tra una seconda famiglia in Grecia oppure la morte. Dunque dedico il finale aperto alla famiglia di mio padre, che è qui presente, che ha sempre vissuto con la speranza di sentirlo vivo, anche se con un'altra famiglia, piuttosto che pensarlo morto», ha spiegato Michele Furci.
Un viaggio, questo lavoro fotografico, che è già preludio di un altro alla ricerca di una verità ancora non conosciuta e che potrebbe rivelarsi una storia di vita e non di morte, forse un nuovo inizio piuttosto che la conferma di una fine. «Immaginarlo vivo con un'altra donna, la suggestione di quella foto inviata da mio nonno a mia nonna di una donna in abito greci con in braccio una bambina in fasce e l'esperienza condotta per realizzare questo lavoro fotografico familiare e storico, mi spingeranno a fare presto un'altro viaggio, questa volta alla ricerca di cugini e parenti in Grecia. Sarà una sorta di diario», ha annunciato ancora il fotografo reggino.
Un finale aperto
«Il libro ha un finale aperto perché aperta è ancora la storia di questa famiglia che ho avuto il privilegio di conoscere leggendo le lettere e toccando le corde intime che ogni parole scritta ha fatto vibrare. Insieme a Michele è stato fatto un accurato lavoro di cesello per affinare un racconto molto delicato e introspettivo. Abbiamo scelto di assecondare la sospensione di questa storia nella narrazione affidata a testi e soprattutto a immagini e che proprio nelle ultime pagine propone una cesura in nero che non interrompe ma amplifica la sua indefinitezza. Questa storia ne racchiude tante: c'è quella di un marito e padre che va in guerra, quella di un nonno il cui destino è rimasto oscuro, forse c'è quella di un antieroe che sceglie di non fare ritorno ad una Calabria povera e rurale e alla sua famiglia e che per fame di libertà, finita la guerra ricomincia in un altro luogo, forse in Grecia. La scelta della copertina con la foto di Salvatore Furci in dissolvenza su trasparenza rivela il protagonismo di un'assenza che tale resterà nonostante le parole, le lettere, gli oggetti e le foto raccontino tanto», ha sottolineato ancora Irene Alison, curatrice del volume, intervenuta in collegamento.
Lettere, foto, oggetti...e il soldatino
La lente attraverso la quale Michele Furci sceglie di guardare questa storia è quella della sua macchina fotografica, passione che coltiva fin da giovanissimo. Dunque le pagine del libro propongono documenti storici, lettere, foto di famiglia e anche oggetti e scatti realizzati per tessere la narrazione. Scatti che, per la profondità e l'intimità dell'ispirazione, hanno affondato le radici nella sua dimensione quotidiana e ancora una volta familiare. Così quella storia epistolare tra Cittanova e Rodi, è stata ambientata a Viterbo dove Michele Furci risiede con la sua famiglia; la moglie Cristina, le due figlie Alice e Luna e la figlioccia Marta sono state al centro dei suoi scatti originali e forti della dimensione autenticamente familiare.
Unitamente all'immaginario di nonno Salvatore ha echeggiato anche la sua infanzia di cui nelle pagine finali c'è un espresso richiamo con la foto di un solo soldatino in ombra, in fondo oppure all'orizzonte. Un'immagine potente che assume un significato ancora più intenso, posta alla fine di questo racconto fotografico che è già inizio di un'altra ricerca a ritroso che potrebbe cambiare il futuro non solo della sua famiglia.
La collaborazione con la fondazione Scopelliti
Con lo Stretto a far da sfondo, Michele Furci ha conversato con Maria Cantone, direttrice della fondazione Antonino Scopelliti, promotrice dell'incontro. Organizzata nell'ambito della più ampia manifestazione "Radici nel Futuro", anche questa iniziativa ha sottolineato l'importanza della pratica della memoria per dare un senso al presente e tracciare percorsi in divenire; essa si lega anche ad una mostra di Michele Furci, allestita presso la sede della fondazione in via Capobianco. All'incontro, in occasione del quale è anche intervenuto il docente di Applicazioni Digitali per le Arti Visive, Massimo Monorchio, hanno partecipato anche alcuni studenti dell'Accademia di Belle Arti di Reggio, protagonisti con il fotografo reggino di numerosi progetti promossi dalla fondazione Antonino Scopelliti. Un'occasione in cui lo stesso Michele Furci ha voluto ricordare la figura del grande artista e docente dell'Accademia, campano di origine e calabrese di adozione, Ugo D'Ambrosi, recentemente scomparso.
Michele Furci, incarna, ha spiegato in conclusione la presidente della fondazione Antonino Scopelliti, Rosanna, figlia del giudice ucciso trent’anni fa, colui che pur vivendo lontano dalla sua Calabria, ad essa resta comunque profondamente legato. Nato e cresciuto a Reggio, anche se vive ormai a Viterbo da tempo, Michele Furci trae dalla sua terra di origine ispirazione, nutrimento e stimoli costanti a offrire un contributo, come di fatto è anche questo suo lavoro fotografico. «Per me la Calabria è cultura, forza e resilienza, capacità di resistere nelle difficoltà», ha concluso il fotografo.