Per non perdere il gusto di parlare in dialetto calabrese, ma soprattutto per tramandare la nostra storia alle nuove generazioni. Si muove dentro questa doppia impronta, esistenziale e culturale, la scelta di Roberta Cullari – giovane insegnante delle scuole elementari - di dare alle stampe un libro con le sue poesie dialettali. Si intiola “Amurusanzi” ed è stato presentato nella sua Polistena, su iniziativa della “associazione culturale Girolamo Marafioti”, con il patrocinio del Comune.

 

«È un termine difficilmente traducibile – spiega l’autrice a proposito del titolo scelto – non è solo un gesto d’amore, ma è tutto quello che noi intendiamo con il termine benevolenza, un atto che è una donazione di parole e fatti a favore dell’altro».
Un racconto semplice, intorno ad un focolare domestico immaginario, che, nella serata da presentata da Giovanni Cordì – impreziosita dalla voce di Francesco Sicari e dalla fisarmonica di Rocco Cannizzaro – è servita anche per spiegare come studiando la storia regionale si chieda anche la tutela della lingua. «La lingua calabrese – ha detto Stellario Belvana – o si sta perdendo o si sta modificando, eppure è un giacimento culturale fondamentale visto che subisce l’influsso delle altre lingue dal greco in poi».

 

L’interesse manifestato dal pubblico, anche formato da promotori culturali del capoluogo, ha dimostrato che forse è maturo il tempo che confessioni intime - come le poesie di Roberta Cullari - diventino il motore di una nuova formazione da far sbarcare nelle scuole. «Scrivere in dialetto è complicatissimo – conclude l’autrice – e richiede uno studio approfondito della grammatica italiana»