VIDEO | L’autore ospite del Premio Sila, ha presentato, la sua raccolta “Cosa fa la gente tutto il giorno?” nel chiostro di Palazzo Arnone richiamando il pubblico delle grandi occasioni
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Non vuole scrivere di sé e neppure di politica. «I miei personaggi sono persone comuni, a me piace raccontare il quotidiano, è questo il mio mondo creativo». Peter Cameron è uno scrittore che ama scomparire nella storia che racconta. Non c’è nel suo stile, limpido e senza merletti, l’ombra del padrone, ma solo la voce delle sue creazioni che prendono vita e a volte parlano in un modo che lo sorprende. Non è che non ami l’autofiction, non ama l'idea di attingere dalla propria vita «tanto è noiosa che non voglio accollare questo peso sugli altri».
A Cosenza, ospite speciale del “Premio Sila” che a lungo l’ha corteggiato, l’autore americano si gusta il successo in un’Italia che lo ama alla follia. La prova di questo affetto, è tutta nella lunga coda che ha atteso un suo autografo al Salone del libro di Torino e ieri lungo il perimetro del chiostro della Galleria nazionale cosentina.
Cameron non si sottrae ai suoi lettori e dedica ad personam ogni copia "with best wishes". L’autore, che al chiasso della metropoli preferisce il buen ritiro del Vermont, parla a cuore aperto di stili, dei suoi autori del cuore, della passione per i racconti («tavole imbandite dove ti siedi e mangi subito, al contrario del romanzo dove prima sorseggi del vino lentamente»), di coscienza e dei dolori della crescita.
Il suo romanzo più conosciuto, “Un giorno questo dolore ti sarà utile” (Roberto Faenza ne fece un film), è ritornato prepotentemente in classifica, spinto dallo tsunami del Book Tok, la zona per book addicted del social cinese Tik Tok, mentre "Cose che succedono di notte" (pubblicato nel 2020), è stato appena opzionato da Martin Scorsese che ne farà un film con la firma dello sceneggiatore Patrick Marber.
Da quando è qui nel Belpaese, in occasione della pubblicazione della sua raccolta di racconti “Cosa fa la gente tutto il giorno?” (Adelphi), non fa che stupirsi dell’affetto e delle attenzioni che neanche in patria gli sono riservati «un mistero che accetto con gratitudine senza farmi domande».
Cameron, una domanda gliela faccio io: la sua raccolta contiene racconti scritti in varie fasi della sua vita, ce n’è qualcuno a cui è più affezionato?
«Le rispondo come ci rispondeva nostra madre quando le chiedevamo chi fosse il suo figlio prediletto. Non c'è una storia preferita, non riesco a pensare a una con più affetto rispetto ad un'altra, le amo tutte, così come mia madre amava tutti i suoi figli».
A lei piace osservare le vite degli altri, ma la ispira di più una finestra illuminata da cui si intravede un via vai di gente, o una scura e chiusa?
«Credo quella chiusa, scura, mi stimola di più».
Molti suoi colleghi scrittori si dicono preoccupati dall’avvento dell’Intelligenza artificiale. Lei che ne pensa?
«Le storie che mi piace leggere sono il frutto di menti idiosincratiche e sono sempre diverse, si distinguono le une dalle altre, e per questo non credo che l’Ai potrà mai sostituire un autore vero. Però… potrei anche sbagliarmi, ma nel dubbio continuerò a leggere libri scritti da essere umani».
Mi dica una cosa, ma cosa c’è di utile nel dolore l’ha poi scoperto?
«Il dolore è utile perché quando siamo felici ci sentiamo soddisfatti di ciò che siamo e abbiamo, e non vogliamo cambiare ma restare fermi. Al contrario, quando soffriamo, siamo insoddisfatti e spinti a stravolgere le cose. Il dolore è legato al cambiamento, non saremmo quello che siamo senza di lui».
Mi sta dicendo che il dolore è più creativo?
«Eccome se lo è».