La puntata del format già su Prime comincia nel migliore dei modi ma poi scivola sui luoghi comuni legati alla "calabresità" (ASCOLTA L'AUDIO)
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Abbiamo perso una buona occasione (di nuovo), perché a queste latitudini dopo il gioco del volano (di sviluppo) un'altra specialità di cui siamo maestri è non saper vincere. Mentre la nuova immagine da spot è affidata all'evergreen Elisabetta Gregoraci ripresa mentre guida, balla, nuota, praticamente un reel di Instagram, poi ci sfugge clamorosamente quella che è l'esposizione che conta: la televisione con i suoi talent, cooking, travel show.
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Se i format di successo per molto tempo dalla Calabria si sono tenuti alla larga, da qualche anno è cominciato un lento avvicinamento. Dimenticando quella puntata disastrosa di "Quattro ristoranti" nel 2017 (chi se le dimentica le inquadrature sugli scheletri dei palazzi mai finiti sulla statale) e le recenti uscite al vetriolo sulla Calabria di Stanley Tucci, Masterchef quest'anno ha ambientato una esterna della nuova stagione a Tropea, mentre Dinner Club, con lo chef Carlo Cracco, produzione Amazon Prime, in Sila. Quella che poteva essere una super puntata, in cui finalmente anche la Dama dei laghi calabresi, uno dei siti più belli di questa regione, trovava uno spazio tutto suo in un format molto ben curato, è finita non proprio da applausi.
Carlo Cracco e Paola Cortellesi, a bordo di una fascinosa Panda 4x4, si sono avventurati tra i boschi a caccia di porcini con i "fungiari". Ma cosa succede una volta che arriva il momento del pranzo en plein air? Sbuca l'immancabile 'nduja, grande e lucida come un maialino. Chi viene in Calabria crede che funzioni così, ad ammucchiata, come se fossimo un magma solo, una confezione formato famiglia da vendere a blocchi: un unico accento, un unico piatto, un unico posto.
Quindi nella Sila della patata Igp (famosa nel mondo), dei funghi, della pasta fresca (impastata con la celebrata acqua), dei formaggi squisiti, tutto si è invece focalizzato sulla specialità di Spilinga, non proprio a due passi dall'altopiano. Poi ecco anche la cipolla di Tropea (guai se manca) e la solita minestra è bella che servita. Insomma a vedere questa regione da fuori pare che la Calabria abbia dei confini a forma di salume, in cui gente che non ha dimestichezza con i mezzi moderni e si ciba solo di insaccati.
Intanto che l'episodio prosegue eccoci davanti a un calderone in cui un maiale in bollitura viene rimestato e poi servito dal comitato delle Frittole in alta uniforme, a una povera Paola Cortellesi che evidentemente non ce la fa più a ingurgitare grassi saturi. Il tutto finisce in leggerezza (si fa per dire) a Longobucco con un "sacchiettu" ripieno di maiale accompagnato da un gag che sembra scritta per la recita delle elementari.
E mentre Antonio Albanese, scherzando, si chiede se per caso orti in Calabria non ce ne siano, ancora una volta è andata in onda una regione disegnata come vogliono gli altri. Pare che ogni spinta per trasformare il folk in forza restituisca solo immagini di ceste e fazzoletti in testa. Non è bastato l'incanto dei boschi dei Giganti a far venir voglia di favola e di racconti sulle magare perché le streghe sono state prenotate per la puntata sul Sud Tirol.
Avremmo voluto dire ad Albanese: sì che ce ne sono di orti, e che orti e che sapori. E ci sono in Sila vecchi cowboy a cavallo con certe storielle fantastiche da raccontare (e con delle facce che le avesse viste Leone ci faceva un altro western). E poi, vieni che ti portiamo ad assaggiare alcuni formaggi che non li dimentichi più, pensa che il cacio della Sila è entrato nella classifica dei 50 più buoni del mondo e senza raccomandazione. Magari ti facciamo fare un salto in un laboratorio di fichi lavorati con le noci e il miele. Forse anche noi ne abbiamo abbastanza del piccante, delle tovaglie arrotolate in testa, dei sottotitoli. E ne abbiamo abbastanza di chi ci vuole raccontare ma non sa un bel niente.