«È stato il vento che ha accompagnato quel veliero di migranti e li ha fatti arrivare fino a Riace, io non ho fatto nulla».

Esordisce così Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, questa mattina di fronte ad una platea gremita di studenti, all’interno dell’aula Caldora dell’Università della Calabria, nell’ambito della presentazione del libro ‘Riabilitare l’Italia – le aree interne tra abbandoni e riconquiste’.

Attorno ad una tavola rotonda di antropologi, sociologi e urbanisti, Lucano porta in cattedra la sua esperienza da ex sindaco nella gestione di un borgo abbandonato e ripopolatosi grazie all'arrivo dei flussi migratori giunti dalla costa, in un modello che ha fatto di Riace l’emblema di una comunità plasmata sui processi di integrazione culturale fra etnie diverse.

Riace, frutto di una casualità e sogno di un riscatto

Mimmo Lucano, divenuto celebre in Italia per il suo modello di accoglienza dei migranti a Riace e al centro di un’attuale bufera giudiziaria, parla agli universitari in maniera diretta e senza alcun pretesa esplicativa da accademico ma con l’umiltà di un uomo che ama la propria terra e ne cerca costantemente il riscatto.

Il ripopolamento di un’area interna come Riace, villaggio a situato a trecento metri dalla costa jonica reggina, è avvenuto in maniera spontanea, senza alcuna «premeditazione, analisi o strategia - spiega Lucano -. A volte le cose accadono così, semplicemente perché devono accadere. Non c’è nessuna teoria dietro Riace ma solo un vissuto che si confronta con le evoluzioni e i tempi di un territorio».


Il borgo arroccato nell’entroterra è una microrealtà composta da 1600 abitanti che, nell’arco di pochi anni, ha raggiunto una notorietà politica che ha travalicato i confini nazionali. «Tutto ciò - tiene a precisare l’ex sindaco di Riace - è successo perché l’immigrazione è un argomento che i divide popoli, al centro di continui dibattiti politici e campagne elettorali e su cui, spesso, si decidono le sorti dei Governi».

 

«Il modello Riace è stato una casualità, trasformandosi da terra di partenze a punto di approdo. È successo tutto in maniera naturale: le persone del luogo hanno accolto gli immigrati, giunti dal mare, senza alcuna remora ed ostilità; così si è instaurato un processo antopologico spontaneo che si è determinato nel corso del tempo e che dovrebbe essere alla base di tutti i rapporti umani».

 

Per Mimmo, Riace è «il sogno di un riscatto in una terra pregna di vittimismo. Al Sud siamo sempre soliti dare la colpa ad altro, al Governo centrale, alla Regione, in un’autocommiserazione in cui ci crogioliamo costantemente. Per noi sindaci partecipare ai bandi è difficile, è come addentrarsi in una giungla e diventa quasi una missione portarne a termine qualcuno. Ma non possiamo rimanere nell’astrattismo, senza fare nulla».

 

«Il ministro – prosegue Lucano riferendosi a Matteo Salvini – mi contesta il fatto che vengono prima gli italiani. Io gli rispondo che noi abbiamo fatto solo quello che ci dettava l’anima, vero motore che ha avviato i processi all’interno del borgo. Abbiamo praticato l’accoglienza, senza alcuna discriminazione di sesso o razza».

 

Per Lucano, Riace è il simbolo rappresentativo di tutte quelle aree interne alle quali bisogna ritornare perché «sono i luoghi dell’anima e l’anima è qualcosa che non potranno mai spegnere. Il profugo rappresenta il proletario dal quale bisogna ripartire. Noi vogliamo stare dalla parte dell’umanità e dell’accoglienza».

«L’attuale periodo è una regressione delle nostre coscienze»

Mimmo Lucano, nella sua analisi, tenta di ricostruire il quadro attuale politico con particolare riferimento ad un Mezzogiorno che considera «soffocato dal decreto sicurezza e da una repressione dell’illegalità e delle mafie, come unica risoluzione che possa risolvere i problemi del Sud».

 

«Ciò che sta avvenendo sembra quasi porre in atto una privazione della libertà senza valorizzare l’espressione di differenza tra gli esseri umani. Siamo ritornati all’epoca del fascismo, stiamo subendo una violenza alla nostra Costituzione, quella che abbiamo ottenuto con il sangue».

 

«In un contesto del genere che significato ha vivere una dimensione sociale? Significa vivere in maniera acritica? Cosa vogliamo trasmettere ai giovani? – si domanda l’ex primo cittadino di Riace – Abbiamo perso l’umanità e l’attuale periodo che stiamo vivendo sta portando ad una regressione delle nostre coscienze».

«Sul modello Riace tante ombre»

«Riace è un modello che si vuole sopprimere perché si fonda su un’utopia sociale divenuta realtà: la possibilità concreta di una comunità fondata sui temi dell’umanità e dell’accoglienza», prosegue Lucano.

 

«Ci sono tante ombre su Riace e non lo voglio dire per giustificarmi, - si sfoga l’ex sindaco con un’intercalare di tono che si avvicina allo sconforto – il processo stabilirà ogni cosa. Rimango amareggiato da tutte le accuse che sono venute fuori sui matrimoni combinati, carte d’identità e varie, ci sarebbe da discuterne per due giorni», riferendosi all’indagine da parte della Procura del Tribunale di Locri che lo vedrebbe sotto accusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

 

«È possibile – continua – che un prefetto che non è mai venuto a guardare con i suoi occhi il borgo e ha voluto raccontare un’altra storia, penale e giudiziaria? Strutturare un modello di integrazione è oggettivamente difficile perché quando si parla di accoglienza bisogna avere a che fare con i progetti Sprar al termine dei quali ti trovi delle persone in mezzo alla strada e con il rischio che siano prede facili della criminalità organizzata».

 

«Il mondo ha raccontato di un’esperienza dove con gli stessi soldi che hanno avuto tutti i progetti italiani abbiamo dato vita ad una riqualificazione estetica del borgo. Anche questo è stato vista come un elemento penale».

 

E conclude: «Io ho voluto dare un contributo alla mia terra nell’idea di un mondo migliore. Su Riace c’è la legge 18 del 2009 che è rimasta una lettera morta. Quello era il modello che avevamo in mente, ispirato ad un’economia solidale e ad un’accoglienza dolce e che - ad oggi - rimane ancora la nostra idea».