V.S. Gaudio era nato a Trebisacce, è morto a Villapiana quasi un anno fa. Ha scritto compulsivamente per tutta la vita, è stato anche giornalista ma è la poesia ad aver permeato la sua esistenza
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L'ultima cosa che V.S. Gaudio mi ha detto, verso le sette di sera, è stata: «Questa vita non è andata bene, Alessa’...». Con i nervi a fior di pelle, ho lasciato precipitosamente la stanza nella quale, all'alba di due giorni dopo, quasi un anno fa, è morto.
Eppure, V.S. non ha mai voluto abituarsi al peggio e, a modo suo, cioè da poeta, ha sempre provato a reagire. Lo ha fatto in quella maniera inattuale che conoscono i poeti. Ad esempio, scrivendo, nel 1979, versi come questi, poi pubblicati qualche anno dopo nei Libri del triangolo d'oro per le edizioni del Piombino di Alessandria:
di fronte al testo
la felicità passa al limite nudo di un orlo
nel campo sfugge in un senso
il cui rischio trattiene l'autunno del bianco
oppure l'alba trascina amore
verso i frutteti di fuori nell'acqua
incrocia l'orizzonte che lega la linea e il sogno
V.S. Gaudio ha scritto compulsivamente per tutta la vita, è stato giornalista con tanto di tesserino dei pubblicisti: un libriccino di pelle verde, pieno di bollini adesivi colorati che spesso mi mostrava con mal celato orgoglio. Ma la professione del giornalista l'ha svolta da poeta, non curandosi della carriera, consumatasi lontano dalla Calabria e conclusasi precocemente. Veniva pagato lautamente, ma ha trascurato la previdenza e i versamenti per i durissimi anni della pensione. Fu, poi, costretto ad accettare quella sociale, pur essendone quasi disturbato.
Al di là di questo, V.S. era poeta anche nelle relazioni: voleva essere accettato interamente per ciò che era e si agitava quando, inevitabilmente, ciò non avveniva. Pensava che sarebbe bastato poco, appena un po' d'amore disinteressato, un po' di lealtà o di onestà, perché chiunque avesse potuto comprendere i suoi limiti, le sue rigidità, una certa coerenza disumanamente portata fino allo stremo. Non contemplava l'eventualità che ciò non potesse avvenire sempre, che quasi nessuno avrebbe potuto seguirlo lungo quella strada, e allora strepitava, chiudendosi sempre più in sé stesso.
Dalle poche persone rimaste al suo fianco pretendeva, con intransigenza, la medesima adesione ai suoi principi. Tentava, così, di sfuggire al peggio, provando a modificare l'immodificabile, esigendo il massimo da chiunque, ma senza reclamarlo. Semplicemente, aspettandoselo. V.S. Gaudio avrebbe voluto di più per la moglie, che lo ha curato fino all'ultimo giorno, per il figlio, che con lui ha imparato a scrivere, e per i nipoti, tra i pochi che lo hanno amato incondizionatamente. L'ombra troppo lunga di un passato ingiusto, il peggio appunto, lo ha raggiunto nella sua casa nel pantano di Villapiana, nell'Alto Ionio cosentino, e lo ha distratto dalla poesia che pure, lo sapeva anche se non lo diceva, era l'unica risposta plausibile, la sola possibilità di salvezza, il solo modo che conosceva di declinare la vita, pretendendola anche da chi non ne aveva.
Neanche si è accorto, temo, di quanta poesia ci fosse nelle crepe dei suoi desideri inesauditi, in quella esistenza andata male e finita a 72 anni, eppure segnata ogni giorno dalla medesima tensione dei suoi versi:
fuori niente è cambiato
la piega del sole forza il blu
che si spegne
dove la pioggia traccia un semplice campo
una riva la città che raggiunge l'alba sul fiume coperto
o il paesaggio ancora assente
dissangua l'immagine
Chi era
V. S. Gaudio, poeta, scrittore e giornalista free-lance degli anni ‘70. Nacque a Trebisacce nel 1951 e morì nel 2024 a Villapiana, due comuni dell’alto Jonio Cosentino.
Come poeta è stato, tra gli altri, edito da Guanda nei Quaderni della Fenice diretti da Giovanni Raboni.
Come giornalista ha lavorato per decine di testate dei più grandi gruppi editoriali italiani, tra i quali Rizzoli, Mondadori, Lancio, La Stampa, The Walt Disney Company, Motta Periodici, Dellaschiava e Warner Bros.
Molti le sue pubblicazioni come saggista.
Ha partecipato, con Franco Verdi, Flavio Ermini e Alfio Fiorentino, alla fondazione di «Anterem». A metà degli anni Ottanta, a Cosenza, ha fondato con Marisa Aino le Collezioni di Uh.