Chi nasce in Calabria lo sa: per tutta la vita si porterà dentro un fremito di frustrazione che lo spingerà a cercare in ogni dove continue conferme alla grandezza della propria terra e di chi ci è nato. Per quanti combattono quotidianamente con questo senso di inferiorità, Luigi Giffone può rappresentare un vessillo da sbandierare in ogni occasione.


Classe 1926, figlio di un’aristocrazia da romanzo ormai scomparsa, nei primi anni di vita Luigi si divide tra Polistena e Tropea, finché non intraprende gli studi in ingegneria a Roma, «ma ho lasciato subito per passare ad architettura», ci racconta dalla sua casa a picco sull’Isola. Troppo imbrigliato in formule rigide, capisce di poter liberare il proprio talento solo attraverso una disciplina che sta cambiando il mondo e che lo porta a varcare l’oceano: «Mi offrirono la possibilità di lavorare e completare gli studi a Chicago e accettai subito, venendo in contatto con due maestri dell’architettura moderna: Frank Lloyd Wright e Ludwig Mies van der Rohe». Probabilmente ai più questi nomi diranno poco, ma rappresentano una pietra miliare per il settore: Lloyd Wright progettò il Guggenheim Museum di New York, solo per fare un esempio.


«Per me fu una grande fortuna perché mi permise di costruire un bagaglio che mi è servito in ogni occasione». Una vita che prosegue in Inghilterra, dove Giffone si stabilisce per quarant’anni continuando a lavorare a progetti per colossi come Coca Cola o American Motors: «Lì ho trovato l’amore e un popolo di grande civiltà» ci dice con una punta di malinconia. Ma il suo pensiero è fisso alle radici: «Quando è morta mia moglie sono tornato a Tropea, circa dieci anni fa, perché non c’era più niente che mi teneva legato all’Inghilterra. Ma vivendo qui mi rendo conto che è solo l’amore che ho per questo posto che mi fa sopportare il modo incivile in cui viviamo rispetto alle ricchezze che abbiamo. Siamo stati inondati di grazia: mare, sole, paesaggi, storia, architettura, avremmo tutto per vivere bene, eppure riusciamo sempre a ignorare queste bellezze».

 

Suggestioni che tolgono il respiro, incanti che illudono come un canto di sirene: «Forse perché sono stato fuori tanti anni, ma nella mia testa è rimasto il ricordo di Tropea come sublimazione dei miei sentimenti, come l’Itaca a cui avrei voluto tornare un giorno». Ma, una volta sbarcato, si rende conto che sarebbe stato meglio continuare ad amare quell’ideale da lontano: «Questa terra, non solo Tropea, ma la Calabria in generale, ha perso molto, ha perso soprattutto il suo profumo».


E, alla fine, forte di un bagaglio di vita come pochi, Luigi Giffone ha anche pronta la cura per il suo più grande amore: «Bisognerebbe partire dal basso, dalle generazioni più giovani, per risvegliare in loro il senso di orgoglio per ciò che hanno e il senso di ammirazione della natura. Solo così, con il gioco all’aria aperta, con la semplicità della vita è possibile una vera rinascita».


Ci saluta, cordiale, con l’Isola sullo sfondo, i premi ricevuti, le sue creazioni contenute in un rifugio che è uno scrigno di ricchezza. Ricambiamo con l’orgoglio di chi ha appena conosciuto una star e un pizzico di tristezza per aver passato poco tempo con chi è considerato uno dei migliori architetti del ventesimo secolo. Ed è calabrese, come noi.