«Quello che più manca, è il cambio di prospettiva, la circolazione delle idee. Forse dipende dal fatto che negli ultimi anni sempre più persone sono andate vie da qui. Quello demografico è un problema serio nei nostri comuni. Come fa a rinnovarsi la cultura, a creare qualcosa di nuovo, ad aggiungere un tassello ad un ipotetico manifesto culturale, se i pensieri palleggiano tra sempre meno persone?».

La seconda tappa del nostro viaggio dentro le realtà culturale della Locride, candidata a diventare, nel 2025, Capitale italiana della cultura, ci porta a Focà, da Stefano Simonetta, in arte Mujura, tra i primi, nella Locride, a proporre un nuovo approccio rispetto alla musica popolare, dirottandola dai percorsi immutabili della tradizione. Cantautore, musicista, produttore: dal suo “Arango Sonic Studio” di Focà, sono passati tutti i protagonisti della rinascita di un genere (quello che pesca a piena mani nel patrimonio della musica tradizionale) che da sottocultura quasi disprezzata, è diventata vera e propria bandiera del territorio. Una “rinascita” iniziata alla fine degli anni ’90 e cresciuta nel tempo, fino ai numeri da capogiro registrati nei concerti in giro per il mondo da musicisti come Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea.

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Da qualche anno però, anche il fenomeno musica popolare sembra vivere un momento di stanca, almeno a livello creativo. Se infatti gli artisti che per primi hanno proposto la loro reinterpretazione della tradizione, hanno consolidato negli anni il loro seguito riuscendo a sfondare i confini dell’interesse regionale, quello che forse è mancato nella Locride è stato il ricambio generazionale tra gli artisti, capace di infondere nuove energie ad un filone che spesso ha prodotto band che si limitavano ad emulare il successo di chi li aveva preceduti. 

«Quando abbiamo iniziato con i Tarankhan, sul territorio a livello musicale si producevano molte più cose – racconta Mujura nella sua “casa di registrazione” ricavata dalla vecchia merceria dei nonni a Focà, poche case appoggiate sul fianco della fiumara di Caulonia – certo i risultati non erano sempre buoni, ma c’era curiosità, voglia di sperimentare. Forse in questo momento, tolti gli artisti che hanno già individuato il loro percorso e codificato la loro idea di musica, manca questo tipo di spirito. Allo stesso tempo però molte cose sono migliorate. Venti anni fa era quasi impossibile trovare un artigiano in grado di realizzare un tamburo a cornice o una lira calabrese. Così come era difficile trovare gli stessi musicisti. Ora le cose sono molto diverse».

Nel percorso di crescita del movimento attorno alla musica etnica e popolare, un grosso ruolo lo ha giocato il Kaulonia Tarantella Festival (e il suo predecessore, poi esiliato a Badolato nel catanzarese, Tarantella Power), manifestazione che negli anni è riuscita, tra mille contradizioni e infinite polemiche, a fare da cassa di risonanza per lo “sdoganamento” della tarantella calabrese nel nuovo secolo. Punto di forza nella candidatura Locride 2015, il festival negli anni non si è fatto mancare proprio niente, dalla prima pioneristica edizione (con un gruppo di punkettoni che erano arrivati a Caulonia per seguire gli eventi e che si ritrovò a suonare, in piena notte, le campane della chiesa matrice come vendetta per le bastonate che qualche autoctono aveva riversato su uno dei loro cani), alle polemiche sui continui errori nella redazione dei bandi di finanziamento regionale (che più volte negli anni hanno messo a rischio la stessa sopravvivenza della manifestazione). E poi le polemiche sui concorsi per le nuove band bollati come “addomesticati” e i fischi per quegli artisti che non rispettavano il gusto talebano-tradizionalista del “paese che balla”.

«Ma il festival di Caulonia – dice ancora Stefano Mujura – ha comunque molti meriti. Moltissime persone si sono avvicinate a strumenti e sonorità che fanno parte della nostra storia magari dopo avere passato una sera a Caulonia. Il problema vero del Tarantella festival è che probabilmente non ha una sua vera identità. A differenza di Rumori Mediterranei a Roccella, a Caulonia non c’è un’associazione culturale che si occupa di tracciare la linea da seguire. Quello di Caulonia è il festival della politica, e la linea la traccia un anno un sindaco, e l’anno successivo un altro amministratore. A Roccella nessuno si è mai permesso di proporre a Paolo Damiani o a Stefano Benni (per anni direttori artistici del festival Jazz), questo o quell’artista da far esibire. A Caulonia invece questo comportamento è la norma».