Descrivere la generosità del sottosuolo calabrese in termini di resa di tesori archeologici senza abusare di formule già note? Impossibile. In anni ed anni di cronache culturali e/o giudiziarie, tra trafugamenti e rinvenimenti, tra gioie e dolori, tutto è stato detto e ridetto: ed è difficile tornare a parlare dell’ennesima scoperta nella Locride senza ripetersi, tanto siamo avvezzi a considerare scontato quello che è eccezionale, e inevitabile quello che è criminale.

 

Un centro culturale

Questa volta, per fortuna, la notizie è buona, e il tesoro - scongiuri facendo- al sicuro. Un rinvenimento fortunato, risalente ad agosto, che è tornato far parlare di sé nei giorni scorsi, dopo il messaggio del indaco di Locri Giovanni Calabrese che su facebook scriveva di «una necropoli di origine romana risalente probabilmente al I secolo d.C.», della fondatezza dell'ipotesi «avanzata lo scorso 10 agosto al momento dei rinvenimenti fatti nel corso dei lavori di ristrutturazione dell'ex scuola San Cono», di come fossero state «portate alla luce già 23 sepolture, brocche e monili in bronzo», «i lavori di verifica procedono e si intravedono scenari interessanti», e che «l'ex plesso scolastico verrà trasformato in un Centro Culturale».

 

Logistica felice

Logistica quanto mai opportuna: lo scavo si trova a 2 metri dal perimetro murario della città antica e a 50 dall’ingresso del museo, e fa sì che la necropoli caschi proprio “a fagiolo” e venga messa al riparo - si spera - dalle attenzioni di tanti contrabbandieri che hanno trovato da queste parti lucro e soddisfazione. Non ultima, la maxi operazione Achei, che ha sgominato un traffico milionario, denunciato decine di trafficanti, recuperato migliaia di reperti, e che vedeva nella Locride una delle aree maggiormente flagellate dall’emorragia archeologica.

 

La sovrintendenza: «Necropoli importantissima»

Tornando a San Cono, la necropoli è emersa a seguito di lavori in corso destinati a rimettere in sicurezza una scuola in disuso da adibire a contenitore culturale, adiacente l’arteria greca del Dromo. «Si tratta della  terza necropoli romana di cui si ha contezza e probabilmente quella più consistente, visto l’arco temporale del suo utilizzo - dal I al V secolo d.C. - e che quasi certamente ospita sepolture cristiane» ha dichiarato l’archeologo Alfredo Ruga, funzionario della Saap -Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia.

 

Archeologia preventiva

«La scoperta - ha proseguito - è emersa nel corso delle indagini di archeologia preventiva previste dai lavori di consolidamento dell’edificio, e presenta aspetti di grande importanza. Ovvio che il rinvenimento - si era più o meno ad agosto, quando sono emerse dalla terra di risulta ossa e mattoni - abbia dato vita ad una fase di concertazione tra enti, che hanno proceduto ad un piano organico di attività.  La destinazione dello stabile a contenitore culturale era già nell’aria. Sarà una struttura adibita in parte anche a sede espositiva dei reperti: e già in variante di progetto, sono state apportate modifiche tali da permettere un domani al visitatore di fruire di parte della pavimentazione rinvenuta, caratterizzata da alcuni lembi notevoli».

 

La Agostino: "reperti analoghi ai nostri"

Sulla natura dei reperti, interviene anche la direttrice del Museo e Parco Archeologico Nazionale di Locri, Rossella Agostino. «Stiamo collaborando con la SAAP al restauro di alcuni reperti rinvenuti nel corso di queste prime settimane di scavo – ha dichiarato -. Si tratta di vasellame di tipo a noi già noto, brocchette a bande scure, perfettamente coerente con i reperti conservati nel Museo Romano di Casino Macrì, dislocato all’interno del nostro Polo».

 

Partenza, gennaio 2020

La campagna di scavo vera e propria è partita a gennaio. E non si esclude di poter trovare i resti di un edificio di cui hanno diverse testimonianze. Locri è stata una delle prime diocesi, fondata dopo la riorganizzazione di Costantino, e attiva già nel IV secolo, sebbene i documenti sinora rinvenuti risalgano al VI: l'usanza cristiana di effettuare le sepolture “ad martyres”, potrebbe far sperare nella presenza di manufatti importanti. Le sepolture cristiane nel tardoantico avvenivano in aree funerarie già in uso, fuori le mura, dove a volte venivano deposti personaggi venerati o martirizzati, le cui tombe diventavano meta di “pellegrinaggi”, attraevano altre tumulazioni e favorivano la nascita di sistemazioni architettoniche che in alcuni casi sfociavano in vera e propria monumentalizzazione. Da qui, la speranza concreta di poter rinvenire testimonianze protocristiane anche in questo contesto.