«L’idea di scrivere questo libro nasce dall’idea di aggiungere qualcosa a questa storia senza togliere nulla. Su Peppino sono state scritte tante cose, io ho voluto ripercorrere tutta la nostra infanzia, i nostri sospetti e le nostre paure vissute in un contesto mafioso». Così Giovanni Impastato ha spiegato la genesi di “Mio fratello, una vita con Peppino”, il libro presentato a Locri nell’ambito di un’iniziativa promossa dall’associazione antimafia Libera. Si tratta di un racconto-verità con cui l’autore ricostruisce la sua vicenda familiare, nel segno del fratello Peppino. Una sorta di diario intimo del rapporto tra due giovani diversi, certo, ma fratelli convinti di poter cambiare il loro destino.

Un racconto colmo di pagine inedite e di particolari mai rivelati, che si dipana a partire da un comune della città metropolitana di Palermo, Cinisi, e da una famiglia di agricoltori legati alla mafia locale. È in questa famiglia che nasce Peppino, e cinque anni più tardi anche Giovanni. È da qui che si sviluppa la vicenda rivoluzionaria, drammatica, coraggiosa e libera del ragazzo destinato a diventare il più contagioso degli attivisti della lotta antimafia. Una storia che non s’interrompe affatto con l’uccisione di Peppino, ma che continua per altri quarant’anni intrecciandosi a quella del nostro Paese, svelando spesso complicità e opacità. «Ai giovani della Locride dico di crederci fino in fondo e non rassegnarsi – ha evidenziato Impastato – di continuare a lottare e impegnarsi in un contesto difficile come quello della Sicilia, e legarsi un po' alla memoria. La rassegnazione fa paura, distrugge la bellezza ed è nemica della giustizia».