L’autore britannico ospite della Fondazione Sila ha presentato il suo ultimo romanzo “La prova della mia innocenza”
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Non si parli a Jonathan Coe di humor inglese. «Tante persone credono di sapere cosa sia. Se qualcuno qui ha le idee chiare e ha voglia di spiegarmelo, lo prego di farsi avanti. Prenderò appunti». Lo scrittore britannico, è un anticonformista elegante e tranchant, schierato ma mai pedante. La Fondazione Sila è riuscito a portarlo a Cosenza, in quel Sud Italia dove non era mai stato prima («amo l'Italia perché gli italiani sono accoglienti e riescono sempre a cogliere il lato umoristico della mia scrittura, ma anche il senso più profondo»).
La sala di Palazzo Arnone, venerdì sera era gremita. Tutti volevano ascoltare dal vivo l'autore di tanti successi internazionali che ha da poco dato alle stampe "La prova della mia innocenza" (Feltrinelli), il suo ultimo romanzo. Sospesa tra la satira politica e il giallo, la storia di Coe è ambientata nelle due folli settimane segnate dall'alba e il tramonto della prima ministra Liz Struss e dalla morte della Regina Elisabetta II, e mescola diversi generi il cosy crime, dark academy (classicismo, arie gotiche, mistero e malinconia) con cui lo scrittore si diverte a imbastire un giallo.
Anche se Coe lambisce sempre la politica, costeggiandola con il sorriso, non ama essere definito un romanziere politico. «Molti pensano che io abbia dei rapporti con membri del Parlamento o che faccia parti di circoli. Ci tengo a specificare che non solo non è assolutamente così, questa cosa mi inorridirebbe. Il mio interesse come scrittore sono i piccoli drammi della nostra vita la vita di famiglia, il lavoro, l’amicizia. Questi sono i temi reali che per me sono interessanti. Ma tutti questi eventi della nostra vita non accadono in un vuoto pneumatico. Ho capito che come scrittore non potevo creare una netta separazione tra la vita quotidiana e poi il contesto politico. Il mio nuovo romanzo parte proprio da una conferenza politica dell’estrema destra nella quale un giornalista spettatore di questi eventi viene ucciso».
L'autore ha raccontato anche dei suoi esordi, difficili. «Ho iniziato a scrivere dall’età di sei sette anni e a undici ecco il mio primo libro di 150 pagine. E da allora non mi sono mai fermato. Il mio primo romanzo è stato pubblicato dopo una serie di sconfitte. Avevo 15 anni. Prima, avevo scritto dei libri tremendi. La prima pubblicazione vera e propria, importante, a 25 anni, ma avevo già subito circa dieci anni di rifiuti, di storie, racconti, romanzi che resteranno per sempre sepolti nella mia casa. Non li vedrà nessuno».
Sir Coe, nel suo ultimo romanzo è citata la serie Friends, perché questo omaggio alla generazione degli anni 90?
«Ho visto le mie figlie che guardavano quella serie, e mi sono ricordato com'era vivere in quegli anni. Erano un tempo più innocente, prima dello sviluppo tecnologico che conosciamo oggi e prima che le giovani generazioni diventassero vittime dell'ansia generata dai social media. Ho colto una nostalgia per un periodo storico che la generazione di oggi, tuttavia, non ha mai vissuto solo colto di riflesso».
È preoccupato dalla vittoria negli Usa di Trump e soprattutto di Elon Musk?
«Non sono rimasto così sorpreso dal risultato dell'elezione, deluso forse sì. Penso che potenzialmente siano due uomini abbastanza pericolosi, due uomini abbastanza estremi. Trump sembra essere in una fase in cui promette di essere più estremo rispetto al suo primo mandato. Elon Musk è immensamente potente, sia perché è molto ricco, sia perché controlla Twitter o X, come si chiama ora. Penso che è sicuro per nessuno che entrambi si trovino a gestire un così grande potere, insieme».
La politica è più tragica o più comica?
«Penso che la politica sia una commedia, anzi tutto. Come molti satiristi, sono molto tentato di ridere dei politici e di far divertire. Ma poi penso che è necessario prendere la politica molto seriamente, perché ha un effetto profondo su tutte le nostre vite. Viviamo in un'età molto complicata ed è nostra responsabilità, come cittadini, essere informati e coinvolti. Quindi si può ridere dei politici, per iniziare, ma in seguito dobbiamo ascoltare ciò che dicono, perché molto di ciò che dicono è davvero pericoloso».
La sua più grande paura?
«La mia più grande paura? Penso che la mia più grande paura sia che un giorno le persone non riusciranno più distinguere tra ciò che è vero e ciò che non lo è. Non importa se si tratta di video falsi o di ciò che leggono su Facebook. E se non riusciamo a capire la verità, se viviamo in universi narrativi completamente diversi, non possiamo più parlare gli uni con gli altri. Penso che questo sia successo in America quest'anno e posso vedere che succede in altri paesi. Quindi spero che scrivendo romanzi, scrivendo storie e rendendole più vere possibili, sia il mio modo di aiutare».
Cosa accende la sua ispirazione che poi la spinge a scrivere un romanzo?
«È una bella domanda questa. Tante cose possono ispirami: una conversazione ascoltata per caso in mezzo alla strada, una fotografia, qualcosa che vedo. Se quel pensiero continua a seguirmi, allora gli do una chance e intanto continuo a raccogliere input e solo quando capisco che quel materiale è abbastanza buono per poterlo sviluppare, mi metto a scrivere».