VIDEO | Negli scatti raccolti nel volume edito da Rubbettino intitolato Homeland è rappresentata la popolazione di San Nicola da Crissa e dal suo trasmigrare da un lato all’altro dell’Atlantico
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«Un calabrese parte anche quando resta fermo, e resta fermo anche quando va lontano seimila chilometri di distanza». Vito Teti antropologo e compagno di viaggi e ricerche di tante Calabrie in movimento, in questa occasione, non è voluto rimanere incastrato nell’analisi del fenomeno della “restanza”, qui rappresentata dalla popolazione di San Nicola da Crissa e dal suo trasmigrare da un lato all’altro dell’Atlantico, anche perché è la storia del suo paese di origine.
D’altronde il rifiuto della semplice nostalgia lo attuò proprio sin dalla scelta, di tanti anni fa, nell’accompagnarsi ed accompagnare dallo sguardo di Salvatore Piermarini morto il 29 novembre 2019 e considerato uno dei più grandi fotografi italiani degli ultimi 50 anni, antropologo e reporter, pensatore e artista libero che molto distante dalla ricerca ossessiva della perfezione.
Piermarini, divenuto nel frattempo inseparabile dalle ricerche di Teti, ha fotografato quasi sempre su pellicola in bianco e nero, rare volte a colori. Nel 1981 è segnalato tra le “nuove tendenze” da Time-Life Photography Year che pubblica un suo ciclo di fotografie. Aveva già realizzato centinaia di reportage sui luoghi della metropoli, sul lavoro dell’uomo, sul mondo dell’arte e della cultura, sul ritratto e la fotografia di viaggio, prima di sbarcare a ridosso delle serre vibonesi e nelle ricerche di Vito Teti.
Oggi l’Associazione culturale Luna Rosa riesce a presentare la mostra fotografica “Le strade di casa. Anatomia di una comunità”. Fino al 30 giugno, presso la Torre Aragonese del Comune di Melissa, sarà dunque fruibile il frutto di una ricerca di un Paese attraverso il tempo e i continenti”, finanziata dalla Regione Calabria attraverso il Fsc e patrocinata dal Comune Di Melissa in collaborazione con il Gal Kroton.
L’opera fotografica di Salvatore Piermarini accanto al diario di Vito Teti che Rubettino ha pubblicato con il titolo di Homeland, indaga sentimenti e lo fa mostrandoci la dimensione quotidiana, rituale, festiva e comunitaria di un paese calabrese che a inizio degli anni Ottanta del Novecento e il suo trasferirsi a Toronto dove riappare come un “doppio” di quello d’origine.
L’evento espositivo, costituito da oltre 100 opere, a cura di Alfredo Corrao e Silvana Bonfili, rende omaggio alle fotografie realizzate nell’arco di trenta anni da Salvatore Piermarini e Vito Teti, delle quali Luna Rosa, con il pregevole lavoro di sintesi di Enzo Facente e Caterina Carricola che hanno saputo ottimizzare i contributi del semiologo Alberto Gangemi anche attraverso l’incarico a Dino Lorusso per l’allestimento.
E questo focus, frutto di un accurato lavoro di squadra di una opera vastissima, trae spunto da un viaggio del 1990: Vito Teti e Salvatore Piermarini vanno fisicamente a Toronto per scoprire e documentare quel paese di là, immaginato tante volte, nei sogni, nelle parole e nei racconti estivi dei canadesi che tornavano per le vacanze in Calabria.
Molto più che una mostra, tra l’altro ben allestita nelle sue forme: è un dialogo intenso ed ininterrotto, lungo decenni, in cui i lampi del fotografo intersecano testi carichi di emozione, fondando una memoria ritrovata, grazie ad uno sguardo sul Sud, sulle periferie del mondo, sui paesi doppi dell’emigrazione e dei paesi abbandonati, dalle loro rovine.
E c’è un solo patto da sottoscrivere: che lo sguardo possa diventare ricreativo, rigenerativo, e non resti mai semplicemente nostalgico, anche perché, così come lo stesso Teti intima, «il problema da porsi non è la restanza o la partenza, ma rispondere al quesito di tutta l’umanità: come abitare, come resto in questo posto in cui vivo o come abito il posto in cui mi reco».