«La sottoscritta chiede a questo comitato che i propri figli vengano inviati a trascorrere un inverno felice a cura dell'Unione Donne Italiana». Era il dicembre del 1951 quando dal litorale jonico e dall'entrotrerra di Reggio, ancora tramortiti dalla rovinosa alluvione che si era abbattuta solo due mesi prima spezzando vite e distruggendo case e paesi, centinaia di bambine e bambini venivano mandati a Napoli e a Roma per trascorrere un Natale e un inverno al caldo. Ad attenderli c'erano famiglie disponibili ad accoglierli.

Sono tante le richieste come questa, conservate nel costituendo archivio dell'Unione Donne in Italia di Reggio Calabria che all'epoca, con le sue sezioni presenti in numerosi territori dell'allora Provincia, sostenuta dall'Udi nazionale e dalle Camere del Lavoro della Cgil, aveva creato una rete di aiuto per consentire almeno ai più piccoli di non patire freddo e stenti. Una storia che si svela pagina dopo pagina, sfogliando gli elenchi, i documenti e i biglietti ritrovati dalle socie reggine.

L'impegno e la militanza delle donne reggine

I preziosi documenti ci raccontano della «macchina solidale messa in piedi dall'Udi nazionale che aveva individuato le famiglie di accoglienza e supportato nell'organizzazione dei treni le varie sezioni comunali, impegnate a rapportarsi qui con le famiglie che avrebbero dovuto lasciare andare i loro piccoli e le loro piccole. Ricordo anche una riunione di caseggiato, svoltasi proprio qualche giorno prima dell'alluvione, per organizzare l'incontro delle Primavere. Quella riunione si tenne a casa di Giovanna Cirmena, di soli 16 anni, che poi rimase vittima di quella catastrofe», racconta Silvana Croce, all'epoca attiva nella Federazione Giovani Comunisti e nell'associazione Ragazze Italiane, che poi avrebbe dedicato la sua vita all'impegno sindacale e all'Udi, che sua madre Rita Maglio aveva fondato a Reggio e di cui fu responsabile dal 1960 al 1968 e dal 1975 al 1982.

«Ero giovane all'epoca ma ricordo che quell'anno i bambini raggiunsero famiglie di Napoli e soprattutto di Roma. Altre alluvioni si abbatterono in seguito sulla Calabria e allora furono organizzati altri treni verso l'Emilia Romagna, in particolare verso Modena e Reggio Emilia. Ricordo anche quando, per via della comune militanza di molte donne nell'Udi e nel partito Comunista, attorno alla nostra attività nacque il sospetto che fosse strumentale agli interessi del partito e che i bambini fossero portati in Russia. Una volta la polizia bloccò il treno, impedendo ai bambini di proseguire il viaggio. Non mancarono i disordini ma ricordo che ci fu una risposta forte e coesa delle compagne di Reggio che presero con loro i bambini quando poi vennero rilasciati e riuniti nel salone della sede reggina della Camera del Lavoro», ricorda ancora Silvana Croce.

Devastazione e speranza, miseria e solidarietà

A bordo dei treni, bambine e bambine si lasciavano alle spalle situazioni di estrema povertà e indigenza. Tra l’Aspromonte e la Serra di San Bruno si era abbattuta una pioggia violenta e prolungata. Era l'ottobre del 1951: torrenti tracimarono, inondando centri sul litorale e nell'entroterra, generando frane e smottamenti, travolgendo case e ponti. Ci furono vittime e sfollati, le comunicazioni si interruppero, decine di comuni restarono a lungo isolati, con servizi essenziali, collegamenti e accesso all'acqua, interdetti.


Cardeto, Africo, Casalinuovo d'Africo, Bova Marina, Canolo, Careri, Caulonia, Gioiosa Superiore, Grotteria, Mammola, Molochio, Platì, Polistena, Reggio Calabria, Siderno Superiore, Taurianova: ecco alcuni dei luoghi distrutti dai quali i bambini provenivano, cartina al tornasole della miseria che quell'alluvione aveva trasformato in disperazione. Un diluvio universale che invece di lavare via i peccati si accanì contro persone inermi e indifese, già segnate dalla Guerra e che bene conoscevano la fatica di vivere.

L'appello alla solidarietà

In questo contesto fu lanciata un'imponente campagna di sensibilizzazione per chiamare a raccolta le donne reggine e la cittadinanza tutta affinché, visto il dramma umano delle migliaia di persone sfollate e allontanate dai loro paesi, e delle migliaia di bambini «senza case asciutte, cibo caldo e scuola» che si stava consumando nella provincia e i vuoti proclami del governo, si agisse in spirito di fratellanza e solidarietà,donando viveri, indumenti, medicinali oppure denaro per fare fronte alle necessità primarie. Un appello al quale risposero anche dall'estero, come attestato da una lettera dove si legge della spedizione di denaro per contribuire a lenire «l'immensa miseria» dei paesi alluvionati.

Documenti, nomi e storie

Gli elenchi, numerosi e molto lunghi, incarnano la sequela infinita di luoghi distrutti e rivelano la capillarità della presenza dell'Udi sui territori duramente colpiti dall'alluvione. Nomi dei genitori, età e indirizzo venivano riportati per avere contezza di quanti stavano lasciando baracche e luoghi ancora segnati dalla tragedia per completare l'anno scolastico altrove, in un luogo che fosse caldo e accogliente. Genitori sottoscrivevano le autorizzazioni a questa partenza, riportando anche le vaccinazioni ai quali i loro figli e le loro figlie si erano sottoposti. Non solo tantissimi elenchi, tra questi documenti ma anche le attestazioni al momento del rientro in Calabria, del buono stato di salute di figli e figlie. Il rientro avvenne nel maggio del 1952, al termine della scuola. Biglietti scritti da papà e mamme ci lasciano immergere in quell'epoca, e immaginare lo stato d'animo di chi, spinto dalla disperazione e dall'amore, si preparava ad un distacco comunque difficile e a volte anche doloroso

Preziose testimonianze da preservare

«È stata un'emozione fortissima - racconta la socia dell'Udi reggina, Lucia Cara - trovare, durante la nostra prima ricognizione ancora in corso, questi documenti che attestano l'attività dell'Udi sui nostri territori fin dagli anni Quaranta. Ci siamo subito rese conto della preziosità di quello che stavamo riportando alla luce. In particolare questi elenchi e queste lettere raccontano ancora oggi la grande solidarietà che unì tante famiglie, anche di regioni diverse, in quel momento così difficile. L'organizzazione dei treni, la creazione di quella rete di famiglie disposte ad accogliere, le raccolte fondi e di beni di prima necessità furono le attività poste in essere per aiutare le persone sopravvissute all'alluvione che avevano assistito impotenti a quella rovinosa catastrofe. Un'esperienza di significativa mutualità senza tempo e che documenta anche la presenza capillare sui territori dell'Udi e il forte legame con il partito Comunista e la Cgil. Leggere questi elenchi mi ha fatto immaginare la vita di questi bambini che oggi potrebbero ancora essere in vita. Sono passati settant'anni da allora ma sarebbe bello incontrarli e ascoltare la loro storia e magari verificare se anche qualcuno che li aveva ospitati sia ancora in vita», racconta ancora Lucia Cara, socia dell'Udi di Reggio Calabria che nell'occasione rilancia l'importanza di preservare questo archivio e renderlo accessibile alla comunità.


«Stiamo procedendo con il riordino di quanto lasciatoci dalle fondatrici dell'Udi di Reggio Calabria, da Rita Maglio, madre di Silvana Croce, da Enza Marchi e Maria Calvarano. Temevamo di avere perso tutto e invece, in modo rocambolesco, lo abbiamo recuperato. Abbiamo anche preso contatti con la Sovrintendenza archivistica della Calabria perché vorremmo che questo patrimonio storico e culturale non andasse perduto e fosse pienamente valorizzato. Auspichiamo che le Istituzioni vogliano supportarci in questa attività di conservazione e condivisione», ha concluso Lucia Cara, socia dell'Udi di Reggio Calabria.