Non c'era questo gran rapporto, tra Philippe Daverio e la Calabria. Una regione che - a detta sua - continuava a perdere gli appuntamenti con la Storia: tanto che dubitava si potesse salvare.
Una terra i cui capolavori, se lasciati qui, sarebbero stati «come un bel gioiello tenuto nascosto». Un'analisi di poche parole e ancor meno giudizi: ma lapidari.

«I Bronzi? Sono del mondo»

Il suo rammarico? I Bronzi. «Sono patrimonio mondiale. Uno a Reggio ed uno a Milano», diceva, da portarsi in Lombardia, per far da traino a quello che sarebbe dovuto rimanere laggiù. E come scegliere? Con testa o croce...

«Reggio è una città terribile»

E la città dello Stretto? Seppellita. Tranchant, nelle sue dichiarazioni alla vigilia dell'Expò di Milano. «Reggio è una città terribile. Una catastrofe, come Messina. Un miracolo che qualcuno vada a vederli laggiù (i Bronzi, dr)». Si era nel lungo interregno del loro “restauro – deposito” a palazzo Campanella. E di certo, l'immagine non era delle migliori.

Un alsaziano tra vini e Rembrandt

Come non comprendere lo snobismo di un alsaziano intriso di ordine e curatela, l'infanzia in cantina tra Champagne e Borgogna, il primo a parlare di Rembrandt in tv con il calice in mano? Un marziano, in confronto alla figura dell'intellettuale meridionale dall'orgoglio ferito.

Le reazioni scomposte

All'epoca, si era nel 2014, le reazioni scomposte dell'intellighenzia nostrana punta nel vivo, poco o nulla avevano potuto fare contro la corazzata Potemkin dell'inarrivabile Daverio. Solo gli anni, la riforma Franceschini e l'autonomia museale avrebbero smentito in parte le fosche previsioni del critico sull'invisibilità dei Bronzi e dell'archeologico, oggi visitato da flussi importanti.
Eppure, ci manca tanto, proprio per il suo giudizio severo sui «problemi di mentalità della classe dirigente del meridione». Era il più bravo di tutti. Lo rimarrà per lungo tempo ancora. Per questo, la Calabria dovrà perdonargli snobismo e sincerità. Se li poteva permettere.