Meglio riflettere sul significato sociale dello stile architettonico per il fotografo e teorico Angelo Maggio - L’intervista a LaC Radio cafè
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Non si tratta di stabilire se il non finito calabrese sia bello oppure no, lo stile architettonico tipico della nostra terra ormai riconosciuto e studiato pure all’università e che colpì addirittura l’archistar iraniana Zaha Hadid in visita in terra calabra, va esaminato con un occhio più attento. Per il fotografo e teorico Angelo Maggio che lo ha documentato più di tutti attraverso i suoi scatti ogni edificio incompiuto rappresenta un vero “monumento alle aspettative deluse dei calabresi”.
Uno stile minimale ma funzionale che non preclude la possibilità di ampliamento. Anzi ne esprime la speranza. Così scheletri di ferro all’ultimo piano che tagliano l’orizzonte e facciate senza intonaci e pitture, solo il grigio del cemento e il rosso del mattone forato.
L’aspetto estetico dei palazzi non finiti potrebbe addirittura piacere ma in ogni caso non rappresenta il punto focale della ricerca di Angelo Maggio che preferisce interrogarsi sul loro significato sociale.
Il fotografo nell’intervista a LaC Radio cafè ci spiega che il fenomeno «deriva dal fatto che i nostri genitori e i nostri nonni hanno investito nei loro territori. Loro speravano che questi territori migliorassero. Il grosso del non finito è stato realizzato tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Ognuno cercava di costruire per i propri figli. Oggi giudicarli edifici brutti non è giusto».
E come aveva detto in occasione della sua ultima mostra fotografica sul non finito calabrese a Taurianova, ribadisce che non condivide la ricerca del bello. «Personalmente non mi interessa un paesaggio asettico e bello ma vorrei un paesaggio vivo. Io preferirei un non finito abitato che un non abitato finito!».