Esattamente 43 anni fa, un giornalista coraggioso e determinato fonda un periodico dal nome ‘ilCrotonese’. Nasce come bisettimanale, per qualche anno esce tre volte a settimana. Abbraccia la città di Crotone, tutto il crotonese, penetra nel catanzarese e nel cosentino, ma soprattutto fa notizia, si impone anche a livello nazionale, detta la linea alla politica, si batte contro la corruzione e l’incapacità delle classi dirigenti. Il Crotonese domina la scena, si impone sui grandi temi, fa scelte coraggiose, scrive pagine storiche della politica e della società calabrese. Il tutto porta la firma del fondatore, e per lunghissimi anni direttore, Domenico Napolitano, un leone del giornalismo calabrese. Un uomo tutto d’un pezzo, duro, determinato, per certi aspetti un visionario dell’informazione. Non aveva paura di niente e di nessuno.

«Domenico Napolitano - racconta l’attuale direttore Giuseppe Pipita - era una persona che sapeva vedere oltre. Aveva preso spunto da alcuni giornali piemontesi che uscivano una volta alla settimana. Decise di esportare quella esperienza a Crotone dove non c'erano giornali locali individuano come territorio, diciamo così, di competenza, quella che è attualmente la provincia di Crotone. Il primo numero de il Crotonese usci il 5 dicembre 1980. Qualcuno gli disse che non sarebbe arrivato a Natale. Con quello del 2023 di Natali ne ha atto 43”.
 
Un periodico fresco e aggiornato come un quotidiano era una anomalia nel panorama nazionale. Napolitano aveva messo in piedi un gruppo di giovani e una capillare rete territoriale di cronisti. E poi era sempre sul pezzo.
«Il Crotonese agli inizi era un settimanale che andava in edicola il venerdì. Poi per coprire anche gli eventi sportivi, diventò bisettimanale con uscite al martedì e venerdì. Napolitano, con i suoi collaboratori, creò una rete di corrispondenti incredibile e appassionata. Basti pensare che non c'era internet, non c'erano i social, non esisteva whatsapp ed anche i fax erano pochi preziosi nei paesi. Eppure le notizie arrivavano ed il Crotonese le pubblicava. Anche le fotografie erano ancora cartacee. Ricordo una delle prima gara notturne del Crotone, si giocava di lunedì e quindi per coprire l'evento chiedemmo ad un laboratorio di sviluppo di restare aperto fino a notte per stamparci le foto: io scattavo e poi davo il rullino (non c'erano le digitali ancora) ad un nostro collaboratore che andava a farle sviluppare. Altri tempi. L'esperienza del trisettimanale fu negativa. Fu una prova per tentare di tamponare gli inizi della crisi dell'editoria, chiamiamola tradizionale, che iniziava a scontrarsi con internet. Tanto dispendio di energie, ed anche economico, che non diede frutti. Siamo tornati bisettimanali dal 2018».
 
Tante le prime pagine che hanno fatto storia. Che hanno lasciato il segno…
«Il Crotonese ha raccontato, nel bene e nel male, la storia di questo territorio. Ogni articolo pubblicato, dai piccoli ai grandi fatti di cronaca, è storia. Ci sono prime pagine che rendono perfettamente l'idea: penso a quella della visita del Papa Giovanni Paolo II, all'istituzione della Provincia, all'alluvione del 1996, alle promozioni del Crotone prima in serie B e poi in Serie A. Penso anche ai fatti di cronaca come le stragi di mafia, alle operazioni antimafia, alla crisi delle industrie ed alla rivolta degli operai. Storia, appunto».

 
Napolitano dava fastidio. Il Crotonese incideva sull’opinione pubblica e punzecchiava con forza il potere. E così le copie vendute e i consensi crescevano tanto.
«Si. Prima dei social i giornali cartacei, soprattutto quelli locali, avevano questo ruolo fondamentale di denunciare il malaffare. Noi abbiamo subito negli anni minacce, intimidazioni. Se ricordate nel periodo in cui svelavamo cosa ci fosse sotto il progetto Europaradiso spararono contro il nostro stabilimento tipografico. I giornali, quelli cartacei, danno fastidio ancora oggi soprattutto ai cosiddetti colletti bianchi. Invece di sparare oggi arrivano le querele temerarie».
 
Oggi il giornalismo è cambiato. La carta stampata è fuori moda.
«Il giornalismo è diventato vittima dei social. Si pensa che con un post su qualsiasi social si faccia informazione. Invece il pericolo è dietro l'angolo. Mi spiego: sui giornali le semplici notizie di cronaca sono un modo per creare l'opinione. Con i social, che sono uno strumento potentissimo, si indirizza l'opinione. Si fa pensare che sia vero qualcosa. Basti vedere cosa hanno fatto con la Brexit convincendo gli inglesi che restare con l'Ue era sbagliato ed ora ne stanno pagando le conseguenze. È facile vedere come le fake news, scritte appositamente da esperti di social e non da giornalisti, siano più diffuse proprio grazie ai social. Il dibattito sui giornali era altra cosa dai commenti, spesso violenti, che ci sono sui social. Poi c'è la convinzione che l'informazione debba essere gratuita mentre dietro c'è una filiera di lavoratori che sta soffrendo la crisi: dagli edicolanti ai giornalisti».
 
Come sopravvive il Crotonese? Che pure è sempre vivo e presente.
«Sopravvive grazie ai suoi giornalisti che continuano a lavorare più per passione che per denaro. Sopravvive grazie ad una storia importante che, comunque, è sempre marchio di qualità dell'informazione nonostante qualcuno pensa diversamente. Sopravvive, lo dico senza problemi, grazie ai contributi del fondo di garanzia dell'editoria per i giornali editi da cooperative editoriali. Sono fondi che vengono assegnati in base a copie vendute e ricavi, non sono, come qualcuno pensa, un regalo. Un contributo dello Stato che serve a garantire la libertà della stampa. Un contributo che il Movimento 5 stelle voleva togliere e che l'attuale governo vuole ridurre per mettere più fondi a disposizione per i grandi giornali editi da società per azioni». 

Ora bisogna capire quale sarà il futuro del giornale, all’interno della più ampia vicenda dei giornali calabresi e nazionali.
«Il futuro è difficile da comprendere nell'editoria. Si va sempre più verso la digitalizzazione. Potrebbe anche andare bene. Non stampiamo più su carta, facciamo solo giornali digitali così risparmiamo anche a livello ambientale. L'importante è che si comprenda che l'informazione, quella fatta seriamente, fatta da redazioni composte da giornalisti e non da influencer, sia pagata. Altrimenti teniamoci i siti di informazione spazzatura e le fake news».